La villa che Moravia aveva in mente quando nel ’25, a diciotto
anni comincio’ a scrivere Gli indifferenti si chiamava
Villa Levi, gia’ villa Ceci, ed oggi sembrerebbe chiamarsi Giorgina,
villa Giorgina almeno sta scritto sopra l’arco di ingresso in pietra
bianca e mattoni al numero 27 di via Po. L’alto muro di cinta che
corre fino all’angolo con via Salaria, largo Ponchielli, via Jacopo
Peri racchiude un parco di piante altissime, soprattutto palme, cedri
del Libano e pini. Camminando piano ci vogliono dieci minuti a fare il
giro. E’ una porzione consistente di citta’ rimasta cosi’
dal 1920, data di costruzione ad opera di Clemente Busi Rivici. Sul lato
di via Caccini ci sono delle aperture con le sbarre da cui si puo’
osservare il corpo slanciato dell’edificio, quattro statue in cima
alla balconata, si direbbero “soldati”, le due al centro guardano
lontano. Sul frontone c’e’ scritto INTER SIDEROS ROMA RECEPTA
POLOS. Attraverso il cancello si vede un piccolo slargo lastricato e subito
il terreno che sale, tagliato da una serie di rampe laterali tra rocce
scolpite. Al centro un'aquila di marmo con le ali semidistese.
Era la villa che Moravia aveva di fronte a casa, durante l’infanzia
segnata dalla tubercolosi ossea secca (“il fatto piu’ importante
della mia vita”, ha detto) che lo costrinse a letto per cinque anni,
i primi tre a casa, in via Donizetti, e gli altri a Cortina, nel sanatorio
Codivilla. Moravia in pratica fino al ’32 non conosceva Roma, ma
solo la zona dove abitava, via Pinciana, il quartiere Sebastiani. All’epoca
quasi campagna. “Davanti a casa nostra c’erano campi di grano,
la gente ci veniva a fare l’amore”. Ha raccontato in piu’
occasioni l’episodio della madre che prende una carrozza a piazza
Barberini e chiede di essere portata in via Paisiello, e si sente dire
dal vetturino: “E che, abiti alla foresta nera, signo’?”.
Dal villino di via Donizetti, attraversata la strada - considerate che
non c’era l’attuale edificio basso chiaro della pizzeria Gaudi’,
gia’ discoteca Histeria - Moravia si trovava di fronte al muro di
villa Levi. Li’ dentro chiude i personaggi del suo romanzo. “Ricordo
benissimo che per me la questione importante, al tempo che componevo quel
mio primo romanzo, era di fondere la tecnica del romanzo con quella del
teatro”, grazie anche a questa preoccupazione di ordine formale
i protagonisti degli Indifferenti escono raramente all’aperto,
se ne stanno per lo piu’ nei loro ambienti privati. Nel film di
Maselli (1964) gli esterni si contano sulla punta delle dita, e questo
in accordo con la struttura del romanzo, un teatro che si fa in salotto,
in sala da pranzo, in camera da letto. Cene interminabili in puro stile
Festen. Tanto che Maselli riesce ad essere fedele al romanzo
anche girando il film ad Ascoli Piceno. Quello che conta e’ lo spazio
che sta al di la’ del muro, superata la macchia nera del cancello,
i due pilastri bianchi, il fogliame scuro di un grande albero curvo sotto
la pioggia, la ghiaia fradicia, le pozzanghere del parco, il vestibolo
buio, il corridoio immerso nell’oscurita’, la scala, l’anticamera…
L’esterno e’ ostile, un’area perturbata dove l’animo
si perde. Michele che va lungo i marciapiedi affollati viene colpito dalla
vanita’ del suo stesso movimento, guardando in terra le “centinaia
di piedi scalpiccianti nella mota”. “Tutta questa gente”
pensa, “sa dove va e cosa vuole… io invece nulla… nessuno
scopo… se non cammino sto seduto: fa lo stesso”. E Carla,
la sera in cui si concedera’ a Leo, mentre osserva “con stupore
la pioggia violenta lacrimare sul parabrise” si abbandona a una
carrellata di congedo: “Addio strade, quartiere deserto percorso
dalla pioggia come da un esercito, ville addormentate nei loro giardini
umidi, lunghi viali alberati, e parchi in tumulto; addio quartiere alto
e ricco…”. Il paesaggio urbano e’ assente dagli Indifferenti,
se non sotto forma di “panorama della vita”. Moravia punta
alla psicologia della citta’ e arriva a rappresentare Roma senza
mai descriverla.
Viene quasi da pensare che Gli indifferenti sono uno di quei
romanzi, e poi di quei film, che se li porti all’aperto rischiano
qualcosa. La luce, l’aria, la polvere… quest’ultima
e’ l’elemento piu’ temibile. Non in senso figurato (la
polvere del tempo) bensi’ per quella capacita’ che ha il pulviscolo
di insinuarsi negli appartamenti e depositarsi in un lieve strato sopra
ogni cosa facendola sembrare chissa’ sporca o morta, o contagiata
da un di fuori dove regna la confusione plebea. Uno dei capisaldi della
vita borghese, si sa, e’ quello di tenere lontana la polvere dalle
proprie stanze. La tradizionale copertura dei mobili con i teli prima
della villeggiatura ne era un simbolo evidente, dico “era”
perche’ non credo ci sia ancora qualcuno che lo fa, magari pero’
mi sbaglio.
In una conversazione con Dacia Maraini a proposito dei luoghi della sua
infanzia Moravia parla del giardino della prima casa in via Sgambati,
dove ha abitato fino agli otto anni - prima di spostarsi di cinquecento
metri in via Donizetti - una palazzina di quattro piani, all’angolo
con via Pinciana, affacciata su villa Borghese “un tipico giardino
da quartiere di villini, con fontanelle, aiuole, vialetti ghiaiati. L’aveva
fatto mio padre riempiendolo perfino di troppe piante e di alberi…
C’era un berceau ricoperto di roselline bianche molto piccole dal
profumo acuto e polveroso”. “Come polveroso? Erano coperte
di polvere? Polvere di strada?” chiede divertita Dacia. “Non
so da dove venisse la polvere. Allora la polvere era dappertutto. Non
e’ che fossero ricoperte di polvere, ne erano velate. Il vento portava
la polvere dalla campagna…” .
Alcune cose collegate tra di loro [che pero’ significano poco
e niente]
Il padre di Alberto Moravia era l’ingegnere architetto Carlo Pincherle,
a cui si devono alcuni villini di via Piemonte, via Pinciana, via dei
Gracchi. Anche il villino al 136 di via Sicilia, attuale sede della casa
editrice Mondadori, e quindi della rivista «Nuovi Argomenti»
(fondata da Alberto Moravia e Alberto Carocci nel 1953) e’ un suo
progetto, come anche sua e’ la palazzina al 12 di via Po, sede dell’«Espresso»
(per il quale Moravia fece il critico cinematografico). A villa Levi viveva
quella che diventera’ la moglie di Guttuso, Mimise Dotti. Guttuso
e’ stato amico di Moravia, ne ha dipinto uno dei migliori ritratti.
Il villino dove abitava la famiglia Moravia in via Donizetti fu demolito,
al suo posto c’e’ una palazzina costruita dall’impresa
Garboli. La casa di via Sgambati e’ diventata l’Albergo Villa
Borghese.