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PASSEGGIATE ROMANE 2004
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mercoledì 23 giugno

GLI INDIFFERENTI di Francesco Maselli
Roma nei documentari di Francesco Maselli:
FIORAIE, OMBRELLAI, NIENTE VA PERDUTO



La polvere, dappertutto

Lorenzo Pavolini

La villa che Moravia aveva in mente quando nel ’25, a diciotto anni comincio’ a scrivere Gli indifferenti si chiamava Villa Levi, gia’ villa Ceci, ed oggi sembrerebbe chiamarsi Giorgina, villa Giorgina almeno sta scritto sopra l’arco di ingresso in pietra bianca e mattoni al numero 27 di via Po. L’alto muro di cinta che corre fino all’angolo con via Salaria, largo Ponchielli, via Jacopo Peri racchiude un parco di piante altissime, soprattutto palme, cedri del Libano e pini. Camminando piano ci vogliono dieci minuti a fare il giro. E’ una porzione consistente di citta’ rimasta cosi’ dal 1920, data di costruzione ad opera di Clemente Busi Rivici. Sul lato di via Caccini ci sono delle aperture con le sbarre da cui si puo’ osservare il corpo slanciato dell’edificio, quattro statue in cima alla balconata, si direbbero “soldati”, le due al centro guardano lontano. Sul frontone c’e’ scritto INTER SIDEROS ROMA RECEPTA POLOS. Attraverso il cancello si vede un piccolo slargo lastricato e subito il terreno che sale, tagliato da una serie di rampe laterali tra rocce scolpite. Al centro un'aquila di marmo con le ali semidistese.
Era la villa che Moravia aveva di fronte a casa, durante l’infanzia segnata dalla tubercolosi ossea secca (“il fatto piu’ importante della mia vita”, ha detto) che lo costrinse a letto per cinque anni, i primi tre a casa, in via Donizetti, e gli altri a Cortina, nel sanatorio Codivilla. Moravia in pratica fino al ’32 non conosceva Roma, ma solo la zona dove abitava, via Pinciana, il quartiere Sebastiani. All’epoca quasi campagna. “Davanti a casa nostra c’erano campi di grano, la gente ci veniva a fare l’amore”. Ha raccontato in piu’ occasioni l’episodio della madre che prende una carrozza a piazza Barberini e chiede di essere portata in via Paisiello, e si sente dire dal vetturino: “E che, abiti alla foresta nera, signo’?”.
Dal villino di via Donizetti, attraversata la strada - considerate che non c’era l’attuale edificio basso chiaro della pizzeria Gaudi’, gia’ discoteca Histeria - Moravia si trovava di fronte al muro di villa Levi. Li’ dentro chiude i personaggi del suo romanzo. “Ricordo benissimo che per me la questione importante, al tempo che componevo quel mio primo romanzo, era di fondere la tecnica del romanzo con quella del teatro”, grazie anche a questa preoccupazione di ordine formale i protagonisti degli Indifferenti escono raramente all’aperto, se ne stanno per lo piu’ nei loro ambienti privati. Nel film di Maselli (1964) gli esterni si contano sulla punta delle dita, e questo in accordo con la struttura del romanzo, un teatro che si fa in salotto, in sala da pranzo, in camera da letto. Cene interminabili in puro stile Festen. Tanto che Maselli riesce ad essere fedele al romanzo anche girando il film ad Ascoli Piceno. Quello che conta e’ lo spazio che sta al di la’ del muro, superata la macchia nera del cancello, i due pilastri bianchi, il fogliame scuro di un grande albero curvo sotto la pioggia, la ghiaia fradicia, le pozzanghere del parco, il vestibolo buio, il corridoio immerso nell’oscurita’, la scala, l’anticamera… L’esterno e’ ostile, un’area perturbata dove l’animo si perde. Michele che va lungo i marciapiedi affollati viene colpito dalla vanita’ del suo stesso movimento, guardando in terra le “centinaia di piedi scalpiccianti nella mota”. “Tutta questa gente” pensa, “sa dove va e cosa vuole… io invece nulla… nessuno scopo… se non cammino sto seduto: fa lo stesso”. E Carla, la sera in cui si concedera’ a Leo, mentre osserva “con stupore la pioggia violenta lacrimare sul parabrise” si abbandona a una carrellata di congedo: “Addio strade, quartiere deserto percorso dalla pioggia come da un esercito, ville addormentate nei loro giardini umidi, lunghi viali alberati, e parchi in tumulto; addio quartiere alto e ricco…”. Il paesaggio urbano e’ assente dagli Indifferenti, se non sotto forma di “panorama della vita”. Moravia punta alla psicologia della citta’ e arriva a rappresentare Roma senza mai descriverla.
Viene quasi da pensare che Gli indifferenti sono uno di quei romanzi, e poi di quei film, che se li porti all’aperto rischiano qualcosa. La luce, l’aria, la polvere… quest’ultima e’ l’elemento piu’ temibile. Non in senso figurato (la polvere del tempo) bensi’ per quella capacita’ che ha il pulviscolo di insinuarsi negli appartamenti e depositarsi in un lieve strato sopra ogni cosa facendola sembrare chissa’ sporca o morta, o contagiata da un di fuori dove regna la confusione plebea. Uno dei capisaldi della vita borghese, si sa, e’ quello di tenere lontana la polvere dalle proprie stanze. La tradizionale copertura dei mobili con i teli prima della villeggiatura ne era un simbolo evidente, dico “era” perche’ non credo ci sia ancora qualcuno che lo fa, magari pero’ mi sbaglio.
In una conversazione con Dacia Maraini a proposito dei luoghi della sua infanzia Moravia parla del giardino della prima casa in via Sgambati, dove ha abitato fino agli otto anni - prima di spostarsi di cinquecento metri in via Donizetti - una palazzina di quattro piani, all’angolo con via Pinciana, affacciata su villa Borghese “un tipico giardino da quartiere di villini, con fontanelle, aiuole, vialetti ghiaiati. L’aveva fatto mio padre riempiendolo perfino di troppe piante e di alberi… C’era un berceau ricoperto di roselline bianche molto piccole dal profumo acuto e polveroso”. “Come polveroso? Erano coperte di polvere? Polvere di strada?” chiede divertita Dacia. “Non so da dove venisse la polvere. Allora la polvere era dappertutto. Non e’ che fossero ricoperte di polvere, ne erano velate. Il vento portava la polvere dalla campagna…” .

Alcune cose collegate tra di loro [che pero’ significano poco e niente]
Il padre di Alberto Moravia era l’ingegnere architetto Carlo Pincherle, a cui si devono alcuni villini di via Piemonte, via Pinciana, via dei Gracchi. Anche il villino al 136 di via Sicilia, attuale sede della casa editrice Mondadori, e quindi della rivista «Nuovi Argomenti» (fondata da Alberto Moravia e Alberto Carocci nel 1953) e’ un suo progetto, come anche sua e’ la palazzina al 12 di via Po, sede dell’«Espresso» (per il quale Moravia fece il critico cinematografico). A villa Levi viveva quella che diventera’ la moglie di Guttuso, Mimise Dotti. Guttuso e’ stato amico di Moravia, ne ha dipinto uno dei migliori ritratti. Il villino dove abitava la famiglia Moravia in via Donizetti fu demolito, al suo posto c’e’ una palazzina costruita dall’impresa Garboli. La casa di via Sgambati e’ diventata l’Albergo Villa Borghese.

 
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