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ACCATTONE cronache romane - 05/04
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Gli ultimi fuochi

elena stancanelli

Vi ricordate di uno strano personaggio affacciato a una balconata che gridava: vogliamo Galliano Juso direttore della Mostra del Cinema di Venezia? Doveva essere "Stracult", la trasmissione di Marco Giusti.
La prima volta che ho incontrato Galliano Juso facevo ancora l'attrice (sic!). Fu Marco Lodoli a consigliarmi di portare "fotoecurriculum" negli uffici del suo amico produttore. Non avevo idea di chi fosse, non sapevo nemmeno se leggere il suo nome da destra verso sinistra o viceversa. Sapevo solo che stavo per trovarmi di fronte all'uomo, Mister Galliano o Signor Juso che fosse, il quale aveva affidato la regia di Snack Bar Budapest, romanzo di Marco Lodoli e Silvia Bre, a Tinto Brass. C'era della genialita' in quel gesto, e una spericolatezza al limite del suicidio professionale che mi affascinava. Non appena varcai la soglia del suo ufficio, lui mi mise le mani sul culo e, spingendomi contro la finestra, cerco' di infilarmi la lingua in bocca.
A onor del vero, senza troppa convinzione. Per non offendermi, vorrei dire. Percepivo, nella sua interpretazione del produttore, un senso di noia, quasi di disgusto. Malinconia e nichilismo, insoddisfazione, horror vacui… Solo molto tempo dopo avrei scoperto che il produttore di Viva la Foca era un uomo intelligente, a suo modo generoso, ma inguaribilmente depresso. Espletate le formalita' rituali - io stessa mi saro' proposta col broncetto "te la darei ma non te la do" di repertorio, svincolandomi da quell'abbraccio come da un pas de deux provato e riprovato - siamo diventati amici.
Una settimana dopo l'uscita del mio primo romanzo, Benzina, Galliano ne compro' i diritti cinematografici. Quasi tutti i miei amici scrittori con piu' esperienza di me, mi dissero che mi ero messa in un guaio.
Un produttore e' una figura misteriosa. Teoricamente dovrebbe essere qualcuno con una grande disponibilita' di denaro e una predisposizione all'azzardo, direi quasi alla rovina. Un mecenate megalomane, un giardiniere Chance determinato a infondere tutto il proprio patrimonio nella cura di un fiore delicato e capriccioso, programmato per appassire in una sola notte. Un'agave, che cresce in un secolo e crepa non appena sbocciata. Metafora quanto mai appropriata nel caso del film che, nonostante le previsioni nefaste dei colleghi scrittori, fu miracolosamente fatto dal mio libro. Il quale, senza alcun miracolo stavolta, resistette nelle sale meno del tempo che io impiegai a raggiungere il cinema col motorino.
Ma quello che a noi, a me ignara e principiante scrittrice, appariva un programmatico suicidio per marciume, per loro, per i produttori, e' il magico mondo del cinema. Che, da qualche anno a questa parte, e' indissolubilmente legato, in un abbraccio di morte, alla televisione.
La televisione ha ucciso il cinema, ripete Juso come un mantra.
I produttori, in realta', sono collettori di denaro. La cui opus alchemica e' la trasformazione dell'arte in biglietti siae, di fogli bianchi rilegati con la spirale in chilometri di pellicola. Oggi, mi spiega Juso, questo significa esclusivamente saper manipolare funzionari RAI incompetenti.
La televisione ha ucciso il cinema, perche' ha creato un monopolio, ponendosi, di fatto, come unico interlocutore possibile. La televisione allunga le braccia e da un lato decide chi e' il pubblico, dall'altro quali sono i progetti in grado di compiacerlo, di imboccarlo, di confermarlo e confortarlo.
Prima c'era un pubblico vero. Fino al 1972 in Italia esistevano 10.000 schermi cinematografici, adesso sono scesi a 3000. Una sceneggiatura, ormai, se non puo' passare in prima serata, e' condannata. Pasolini, Bertolucci, Antonioni. Ultimo tango a Parigi, Salo'. Oggi nessun produttore si accolla progetti di questo tipo, da mettere in piedi senza i soldi della TV. La televisione ha ucciso il cinema. Guarda le attrici. Allora la Cardinale usciva con Brancati, Moravia. Adesso vagano per i locali sotto braccio ai truccatori.
Prima il cinema si faceva coi soldi fatti con altri film.
Nel 1973 Juso, con la casa di produzione Juma Film, produce un film tratto da Ruzzante, con Ornella Muti e Gastone Moschin. Si intitola La Fiorina, ma il distributore, al momento di preparare i manifesti, lo fa diventare Fiorina la vacca, con conseguente sequestro preventivo del materiale ed enorme pubblicita'. Poi si inventa Ku fu, dalla Sicilia con furore con Franco Franchi, che costa 88 milioni di lire e incassa 1 miliardo e ottocento milioni.
Nel 1976 il maresciallo Nico Giraldi, protagonista di Squadra antiscippo - primo episodio di una lunghissima serie (11 film) di anti-qualcosa - interpretato da Tomas Milian, affettuosamente soprannominato "er monnezza", scaraventa Juso nella mitologia. Lo copre d'oro e gli tira evidentemente la volata per la candidatura a direttore della Biennale. La leggenda vuole che, mentre si trovava a Napoli sul set de Il trafficone per pagare le comparse, Juso sia stato scippato da due ragazzi in moto. E li', esattamente Newton con la mela, ebbe la folgorazione che condiziono' il cinema commerciale italiano per almeno dieci anni. Volle un attore cubano, diplomato all'Actor's Studio, celebrato per le sue interpretazioni teatrali e in film d'autore, star dello "Spaghetti western". Tomas Milian diventa in fretta una figurina del carnevale romano, grazie anche alla voce di Amendola che ne rese indimenticabile il turpiloquio. Si puo' dire che se Edward Bunker fosse nato a Trastevere avrebbe raccontato le avventure di Nico Giraldi?
Mah. Quel che e' certo e' che Juso coi soldi del monnezza produsse Viva la Foca e I Carabbinieri. Fottendosene altamente del proposito assolutorio secondo il quale il denaro prodotto con la monnezza va trasfuso nell'esangue qualita'. Ma eravamo negli anni ottanta, e Teorema di Marco Ferradini accendeva la discussione, ritenuto a ragione la piu' seria riflessione sul rapporto uomo-donna dell'intero decennio. Quando finalmente arrivarono i novanta, anche Juso sposto' la sua attenzione sulla sobria e infruttuosa serieta' dell'arte. Fece Spara che ti passa, improbabile action movie di Carlos Saura con Francesca Neri, da un romanzo di Scerbanenco sceneggiato da Enzo Monteleone e, nel 1995 il capovolavoro: Lo zio di Brooklyn, per la regia di Cipri' e Maresco. Un'emorragia di soldi al limite della follia, con picchi di sublime masochismo in episodi quali la produzione di Escoriandoli della coppia Antonio Rezza-Flavia Mastrella, universalmente noti per la propensione al fallimento programmatico. Di Benzina (2001) non diro' niente per evidente conflitto di interesse, mentre Amore estremo, soft porno di Maria Martinelli con Rocco Siffredi, lo immagino come un tentativo di recupero crediti incappato nelle maglie di una pretesa di artisticita'. Se cercate il titolo in rete, vi troverete davanti al primo caso di stroncatura bifida, poiche' un film omonimo, protagonisti Ben Affleck e Jennifer Lopez, e' uscito un paio d'anni piu' tardi ottenendo uno sbeffeggio critico pari o addirittura maggiore.
Progetti? Quest'anno Juso produrra' Comici d'amore (evidente parodia al Pasolini documentarista) di nuovo con la regia di Cipri' e Maresco. Storia di un viaggio dal sud al nord, in treno, di una coppia di siciliani intenzionati a sfondare nell'industria del porno. Con protagonisti presi rigorosamente dalla Vucciri'a. E' finito il tempo degli attori, mi confida mentre ci salutiamo. Guarda il film di Garrone: bellissimo, tutto perfetto, tranne Manuela Cescon, attrice. Perche'? Perche' recita.
Non lo so. A me, in linea di principio, non mi dispiacciono le competenze. Ma prometto di rifletterci. Galliano Juso non sara' ancora il direttore della Biennale, ma e' di certo un pezzo di storia del cinema, e ne capisce. Provate a chiedergli gli incassi di un film in uscita e confrontateli col risultato reale. Non sgarra mai che di poche lire. Certe volte, quando e' in buona, fa anche il contrario. Esamina gli incassi, e in base a quelli fa la recensione. Due miliardi? Un buon primo tempo, attori leggermente impacciati, una sceneggiatura elegante ma irrisolta. Da destra verso sinistra, o da sinistra verso destra. Arte e pubblico, denaro e qualita'. Mister Galliano o Signor Juso?

 
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