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ACCATTONE cronache romane - 05/04
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Dopo l'assedio

Michael Reynolds

E’ morta sulla strada per l’oriente, uccisa dalla scimitarra di un giovane soldato dagli occhi neri. Aveva la bocca carnosa. Il naso era lungo e dritto. I capelli, ondulati e ramati, gli arrivavano alle spalle. Il capitano lo stava a sentire e, sebbene lei non fosse in grado di capire una parola della loro lingua, immaginava dovesse essere il figlio di un clan potente. Un principe, forse. Era stato lui a scegliere lei e le sue sorelle e a trascinarle via dai cadaveri dei fratelli e del padre legandole insieme per i polsi e costringendole a mettersi in marcia dalla citta’ santa verso solo dio sa dove. Lei sapeva soltanto che stavano andando verso est. Sua madre era stata lasciata indietro e lei supponeva che fosse morta tra le fiamme. Laggiu’ si stendeva la sua citta’, davanti a lei una lingua di fumo denso e nero si allungava verso est spinta dal vento, fino a sovrastarla, coprendo il sole. Non riusciva piu’ a sentire le urla, la citta’ ormai si componeva di soli tre elementi: una colonna di fumo sospinta verso est dal vento forte, le sorelle maggiori legate al suo polso da una corda e due involucri sottili contenenti piante, disegni e progetti avvolti nello stomaco di capra e nascosti tra le piante dei piedi e il cuoio dei suoi sandali.

Il soldato le aveva dato una possibilita’. Con i suoi tredici anni e la pelle chiara e vellutata, era la sua preferita. Malgrado avesse gia’ stuprato due delle sue sorelle tra le fiamme, il fumo e le urla impazzite della madre, davanti agli occhi sbarrati dei fratelli e del padre, ormai morti, e avesse gravemente ferito l’altra sorella, lei non era stata toccata.
La stava conservando come un premio che ci si concede dopo una campagna lunga e sanguinosa o dopo una marcia di un mese. Non aveva voglia di rinunciare al suo premio e cosi’ le aveva dato una possibilita’. Quando cadde in ginocchio per la terza volta, coprendosi i piedi con il grembiule mentre cercava di sistemare furtivamente gli involucri nascosti tra le piante dei piedi e i sandali, lui si era staccato da quel gruppo disordinato di soldati alla testa della loro brigata e le era andato incontro. Un portatore di armi, vecchio e lercio, si era fermato dietro di lei e la fissava con lascivia, leccandosi le labbra mentre gia’ si sgravava del carico e si sollevava la tunica. Il soldato lo schiaffeggio’, si rivolsero alcune parole incomprensibili e rabbiose prima che il vecchio si allontanasse toccandosi con una mano la testa dolorante e masturbandosi con l’altra.
Il soldato dagli occhi scuri le s'inginocchio’ accanto. La guardo’ negli occhi, e lei ricambio’ il suo sguardo. Se era possibile che in quegli occhi neri, sugli zigomi alti, sulle guance scavate, su quella bocca umida e carnosa albergasse qualche emozione, se poteva esistere un sentimento qualsiasi in colui che aveva devastato la sua citta’, reciso la gola di suo padre con un grido assetato di sangue, urlato come una bestia mentre violentava le sorelle, tagliato i capezzoli dai seni di sua madre, se una cosa del genere era possibile, sembrava quasi che la guardasse con calore e affetto. Gli occhi di lui corsero giu’ dal suo viso alla sua spalla nuda e alla clavicola. Poteva non essere affetto. Forse, e’ il sogno di poter soddisfare i suoi desideri segreti ad addolcirgli i lineamenti, penso’ lei. Il soldato la sollevo’. Sguaino’ la spada ma lei non ebbe paura. Le stava innanzi con l'arma in pugno e, con un movimento rapido e improvviso, tronco’ la corda che la legava alle sorelle. Una di loro grido’ e il soldato si giro’ per un attimo verso di lei. Poi volse di nuovo lo sguardo sul suo premio e rinfodero’ la spada. Non le aveva fatto del male. Le spiego’ a gesti che doveva camminare, fare del suo meglio per resistere e dimenticare ogni proposito di fuga. Tutto cio’ con pochi, abili movimenti. Questi soldati, penso’ lei, sono abituati a farsi comprendere in terra straniera. Ma la ragazza continuo’ a cadere (e ogni volta sistemava gli involucri nascosti sotto i piedi). Il soldato si giro’, la guardo’ e parve sempre piu’ contrariato. Il capitano gli parlo’ con violenza. Il giovane replico’ e per la sua impertinenza ricevette un forte colpo di elsa sullo sterno. Quindi si allontano’ dal capitano e dal gruppo che marciava in testa alla brigata e aspetto’, da un lato della strada, che lei lo raggiungesse. Quando arrivo’, cadde in ginocchio davanti a lui. Questi la sollevo’ e le prese teneramente il viso tra le mani. Poi, con un'espressione esasperata, come se fosse stato costretto ad accettare un cavallo zoppo in seguito a un affare svantaggioso, sguaino’ la spada e la trafisse, senza troppe cerimonie. La ragazza si accascio’, il corpo che si staccava dalla spada, e crollo’ sul terreno . Il suo sangue si mescolo’ alla polvere e agli escrementi sparsi sulla strada per l’oriente. Il soldato si volto’ e raggiunse la truppa.

La leggenda narrera’ che lei, sapendo che il trucco non avrebbe funzionato, si era sacrificata per amore della sua citta’, della sua civilta’, del suo dio. Diranno che si era gettata sulla spada di quel barbaro in modo da restare indietro, un cadavere insanguinato, con le mappe della citta’ nei sandali. La definiranno una martire. Un gruppetto di superstiti uscira’, con circospezione, dalle rovine fumanti della citta’ santa diretto verso la strada per l’oriente in cerca di altri sopravvissuti. E la trovera’, ridotta a un cumulo di pelle giallastra, sangue secco e nero e ossa, con la citta’ nei sandali, come appariva prima dell’assedio. La chiameranno eroina. Ne faranno una santa, una martire, oggetto di culto, innalzeranno statue e monumenti. Daranno il suo nome alle strade, ai luoghi sacri e ai bambini. Ne decideranno la storia.

Lei, comunque, sente la vita scorrerle via dalla ferita, riversarsi sulla terra nuda e impreca. Maledice la crudelta’ di quelle orde che si sono riversate sulla sua citta’, assassinando la sua famiglia e radendo al suolo la sua casa, ma maledice con molta piu’ violenza l’orgoglio, l’arroganza e i giochi politici della sua stessa gente che ha fatto abbattere una sventura simile su di lei. Maledice il suo re per averla considerata, assieme a tutti gli altri sudditi, un giusto prezzo da pagare al fine di compiacere dei sovrani confinanti molto piu’ potenti di lui, che di sicuro, alla fine, lo avrebbero tradito. Maledice dio che li ha abbandonati, trasformandoli in vittime della sua superbia; maledice i sacerdoti a cui e’ mancato il coraggio necessario. Maledice il suo stesso padre per averla messa in pericolo di vita, affidandole quei due involucri da nascondere nei sandali. Ne ricorda le parole, pronunciate con l'ultimo alito di vita, proprio ora che anche lei sta esalando il suo. Non le disse che l'amava, non la mise in guardia, non le disse di stare attenta e di essere furba, di essere prudente, di vivere, di sopravvivere. No! Insiste’ che doveva compiere il suo dovere nei confronti della sua gente. Pronunciate queste parole, le aveva affidato i due involucri sottili, mettendo in pericolo la sua vita. I padri hanno sempre mandato i figli alla guerra e sarebbe stato cosi’ fino alla fine dei tempi. Ma che razza di padri metterebbe in pericolo le proprie figlie per un po’ di monumenti di marmo, una manciata di edifici ridotti in cenere e una civilta’ gia’ malata e corrotta.
Li maledisse tutti, per il loro orgoglio, la loro vanita’, arroganza e crudelta’. La forza scemava, provo’ a spingere fuori i due involucri dallo spazio tra le piante dei piedi e i sandali. Avrebbe voluto spargerli al vento e farli distruggere dagli elementi, perche’ quella maledetta citta’ santa non potesse mai piu’ essere ricostruita e nessuna figlia, nessun figlio, dovesse essere ucciso per difenderla.

La trovarono piegata su se stessa e coperta di sangue. La mano immobile allungata verso i due papiri che ancora si trovavano tra la pianta dei piedi e i sandali.
Che ragazzina coraggiosa, dissero. Che santa.

 
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