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ACCATTONE
cronache romane - 05/04
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Qua so' cazzi Antonio Cipriani C'era uno specchio tutto scheggiato, che aveva perso la sua anima d'argento
e rendeva le cose sognanti. Me so' venuti a intervista', so' giornalisti, hai capito? Devono fare un servizio sui film che ho fatto con Pasolini, me tocca raccontare qualche cosa... Ma quello passava dritto, a passo pesante e sbuffando un fanculo rantolato. Seh seh e via oltre allo specchio. Qua a Pietralata mica ce credono che so' attore, disse una sera di vento
giallo e strazio di segherie lontane. Fuori le lampadine danzavano al
buio aromatico, e vecchi predatori di periferica vocazione vagavano a
caccia sui montarozzi dello sfascio. Nel ricordo, mica tanto distante, Mario non ha il volto stanco e beffardo di quelle serate (rughe come trincee, diceva il Filosofo). E' per sempre l'omino affamato che corre a macchinetta nelle praterie (sempre quelle sfregate dal vento della periferia, di polvere africana e cartacce di vecchi imbianchini), che muore davvero, strozzato in croce mentre la vita che si muove indifferente intorno a lui e' finzione. E sullo sfondo, fuori scena, si staglia la citta' penosa e lontana. Viverci dentro, in quella giungla di case e rancori, e' un destino, mica
una passeggiata. Se fai il muratore sei il muratore, se fai lo scopino
sei lo scopino. Ma se fai il muratore e pure l'attore con Pasolini, a
quelli del baretto gli si complica la vita. Questo il rammarico. Perche'
attore, in borgata, vuol dire riscatto sociale, scintillante desiderio
di redenzione alla conte di montecristo; soldi, vendette sociali legittime,
annessi e connessi. Se resti a campare nello stesso caseggiato e la mattina
parti all'alba vestito da muratore, e' un'altra cosa. Nella coscienza
popolare stai alla stregua di quelli che la domenica vanno a giocare le
regionali di bocce a Civita Castellana e il lunedi', con la pagnottella
nella carta del forno, raccontano i dettagli. Mica come quella volta sull'autobus, in centro, tanti anni fa. Mario
tornava dal lavoro con il secchio e dentro gli attrezzi da muratore, dopo
una giornata di fatica sputata in qualche cantiere. Impolverato e con
addosso gli schizzi di calce rimase in piedi in fondo all'autobus. Un
turista francese si avvicino' e lo guardo'. Beh, che te guardi? Disse
il muratore di Pietralata. E quello: ma io la conosco. Lei e' Stracci,
l'attore protagonista della Ricotta di Pasolini. No, no, rispose Stracci,
nun so' io. Io so' uno qualsiasi, che se ero un attore famoso stavo qua... Stracci oggi non c'e' piu'. Vive solo nelle pellicole che ha girato.
E' morto da poco, da muratore in pensione, ma da attore fino all'ultimo
respiro. Qualche parte in film italiani (ma Pasolini non c'e' piu') e
una montagna di ricordi del suo affabulare leggero e ironico, con una
lingua antica che a Roma quasi non si parla piu'. Cioccare, capezza, brillocco,
mezzacucchiara, 'o ggiuro su mi madre; una romanita' lasciata cadere a
pioggia sull'epica in bianco e nero di uno scavalco da regazzini. O da
ladroni grandi e avventurosi, eroici robbinud de noantri, cresciuti nel
mito di "se te becca Santillo" ai Villini, profeti di imprese
mirabolanti destinate al fallimento epocale. Che te restano sur groppone,
diceva Chigo e Mariuccio annuiva. Mai che 'ste imprese aggiustano la vita
dei Cichetta il pataccaro, di Palle secche, di Collo storto che continuano,
assatanati, a giurare sull'ossa dei morti e a toccarsi il pacco a protezione
metafisica dalla vendetta di chiunque profferisca, con agilita' linguistica
da giaguaro: e de tu' nonno. Sintesi e fulmine che squarcia la notte.
Sghignazzavo co' l'amici, 'o pijavo per culo, quello me guardava fisso.
Dico, qua finisce male, aho. Poi se fece sotto Citti e mi disse che era
uno famoso e mi voleva per un film. Da quell'incontro nacque er Balilla
in Accattone e poi Stracci. A Mamma Roma m'hanno tajiato, ero troppo bravo,
oscuravo l'artri... E il provino? Me lo fecero a casa di Fellini, mica
no, c'erano un sacco di persone e quando sono entrato mi so' detto: aho',
in campana, che qua te danno un sacco de botte. Capito, no? E' che pensi
male. Invece... L'ultima volta, col sorriso inciso nel volto stanco, raccontava di quanto
fosse piccola la stanza di un capolavoro come quello di Rosso Fiorentino
a Volterra e di quanto, in fin dei conti, si sentisse un artista vero
e proprio, come la storia e la cultura gli riconoscevano. Un po' meno
il cinema. E zero la borgata. Brindisi, alla poesia amara e a Stracci. In quell'hostaria ci andavo
con Mario e ci incontravo Chigo Gallian anche lui di nobile stirpe bevitora
e animo scrittorico, cappottone loden e barba perennemente sfatta, abitava
da quelle parti. Io, eretico e straniero, ero viandante che giungeva a
Pietralata come fosse la porta del mondo. Tiburtino, vedevo in Ponte Mammolo
il confine misterioso che separava e congiungeva la citta' dalla sua espansione
feroce e meticcia. Il fiume era l'anima che ci univa e divideva. Chi usciva
e chi entrava. In un incrocio di razze, idiomi e furie. Sangue, comunque
nuovo. Occupanti e sfrattati, negri e zingari, immigrati pugliesi, calabresi,
siciliani che si andavano a conquistare il pezzo di orto sotto le case
popolari dell'Albuccione. Sfidando i primi innesti di Roma lontana che
si erano presentati dietro alle zampogne abruzzesi, ai norcini, ai marchigiani
venditori di vino di cartine e cannolicchi. Forse piu' adesso che prima, sono cazzi. Con le stradacce che s'impennano contro le case popolari e portano nel bitume la loro ambizione da cavalcavia senza memoria. Altra cosa le pietre lasciate lungo le strade antiche che dal profondo del loro essere sognano di essere una cattedrale. O un posto dove possano poggiare il culo i poveri affamati di vento, stanchi con le loro vite callose. Che poi se vai a cercare bene, dietro lo sguardo appannato di un bicchiere di vino, l'utopia e' un'arma e lievita come il pane. La bruttezza e' la seconda arma per sopravvivere mimetizzati da poveri cristi che fanno il mazzo e schioppano. Dimenticati con il loro sberleffo di umanita', faccia e rabbia. Fino a un Mario o Chigo che si perdono nei meandri della confusione e vogliono ricominciare da capo, come se lo specchio riannodasse il filo della storia e consentisse loro di riprendere da dove eravamo rimasti. Uno sguardo insolente, la bellezza seduta sulle ginocchia. |
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