Sindoni. Narrazione di una performance
Laura Pugno
Siamo qui per assistere alla realizzazione di un sudario. Non un sudario
per i morti, ma per l'uso dei vivi: a work of art. Paolo Sabbatini
ha quarantotto anni. E' un pittore, col nome/cognome di Rancidoro. Non
e', invece, il sindacalista dei Sincobas di Bologna dallo stesso nome,
con cui di tanto in tanto si ritrova scambiato sui giornali. La ricerca
di Paolo e' fare sudari. Il corpo viene coperto di colore, poi coperto
dal lenzuolo su cui s'imprime. Il lenzuolo s'imbeve di colore, l'immagine
si forma come in una Sindone. L'idea della Sindone, per Paolo che e' credente,
e' la prima immagine di questa serie - il titolo completo del progetto/sudari
e' Impressioni mentali e fisiche - ma a differenza della Sindone
i suoi corpi non hanno testa. Non verra' toccata. Appartiene alla divinita',
dice Paolo. Laicamente, l'identita' e' protetta? I teli su cui quest'immagine
verra' conservata e difesa sono vecchie lenzuola militari, italiane, tagliate
in due, comprate ai Magazzini allo Statuto, in via dello Statuto che sfocia
su piazza Vittorio, forse li sgombereranno, i Magazzini?, hanno
una consistenza leggera e grigia, leggermente dura, un timbro nero che
li fa somigliare a enormi buste di antichissima carta da lettera. Tutto
questo avviene sulla Cassia, appena fuori corso Francia, nell'ora verde
del tardo pomeriggio, il 14 febbraio, san Valentino. Venendo qui, in macchina,
abbiamo incontrato coppie che vanno verso casa, poi proseguiranno la serata
in pizzeria. La strada dove abita Paolo da' su un ampio spazio verde che
la notte si riempie di un buio intatto e di piccole costellazioni di luci.
In fondo, ancora perfettamente visibile adesso nella luce che cala, c'e'
una struttura che non riesco a decifrare, sembra un silos, o un ripetitore
di segnali: e' una costruzione a forma di fungo o di missile, bianca e
rossa. Chiedo a Paolo cosa sia, mi risponde che e' un ripetitore Telecom.
E che probabilmente i suoi segnali qualche effetto su di noi ce l'hanno.
Davvero, sembra guardarci, il ripetitore della Telecom Valley, presenza
biancolatte rossoMarte, vegliare sulla trasformazione, attraverso la stoffa
dipinta, penso, di un corpo in taken, ombra di chi e' stato rapito
dagli alieni. Taken e' il titolo di una serie prodotta da Spielberg
che copre cinquant'anni della storia di tre famiglie: i Keys, i Crawfords
e i Clarkes. E' stata presentata al Taormina FilmFest 2003. Russell
Keys, veterano della Seconda Guerra Mondiale, e' tormentato dagli incubi
del suo sequestro da parte degli alieni durante la Guerra; l'incidente
Roswell trasforma Owen Crawford da ambizioso capitano dell'aeronautica
militare in malvagio cospiratore; l'infelice Sally Clarke viene messa
incinta da un alieno. I pensieri vagano: tutto questo, probabilmente,
non ha niente a che fare con stasera. Beviamo Fanta col ghiaccio e mangiamo
patatine, in attesa che arrivino gli altri.
Intorno al sudario, all'opera di Paolo, sta per prendere forma la realizzazione
di un'altra opera. Un piccolo documentario sul lavoro di PS. Siamo in
cinque: io, che scrivo, sto facendo in questo momento la mia parte, per
ultima. Sono l'archivista di questa minima impresa. Poi ci sono, Elio
che girera' il video, Barbara che lavora con lui per quanto riguarda le
parole, Nico che e' la seconda camera, Maurizio che comporra' le musiche.
Stasera Maurizio non verra', avremo le musiche dopo. Paolo ha deciso di
lavorare direttamente su se stesso. C'e' stata una preparazione. Scegliere
la materia dei colori, che dev'essere naturale, argilla bianca per le
parti chiare, mallo di noce per il marrone scuro, henne' per il porpora,
karkade' per il rosso-viola, fiordaliso, credo, per l'azzurro. La conservazione
della sostanza-colore si deve a fissativi naturali; la ricetta, naturalmente,
Paolo la tiene per se', trucchi, giochi d'artificio del mestiere. Siamo
stati qui qualche giorno fa, ad osservare il modificarsi della luce naturale
dalle finestre, il persistere e il disporsi della luce delle lampade;
siamo tornati alle cinque di pomeriggio, con due macchine. Io non sono
nelle mie migliori condizioni, ho un raffreddore fortissimo. Gli altri
stanno bene. Nel giro di un'ora prima della performance, abbiamo completamente
trasformato la casa: solitamente piena di libri e oggetti rari, ora sembra,
commentiamo, "una pubblicita' di AD". Spostati i mobili piu'
ingombranti, i divani ricoperti di teli bianchi, altri teli fissati alla
libreria e accartocciati a terra ad ammorbidire la giunzione tra pavimento
e muro. Ora la casa di via Cassia e' spoglia, sembra un luogo disabitato,
il dominio di un unico colore: il colore bianco.
Per i titoli di testa, Paolo sta inginocchiato davanti a un tavolino basso,
coperto da una stoffa ugualmente bianca; ha in mano una ciotola d'argento
antica, il diapason tibetano: e' uno strumento. Nico e' in piedi, la telecamera
sul cavalletto, inquadra dall'alto in basso Paolo che sfiora leggermente
con una bacchetta di legno, con un movimento rotatorio, il bordo della
ciotola d'argento suscitando il suono. Elio sta accanto e studia la scena.
La ciotola e' antica, ha inciso sopra in caratteri per noi illeggibili
il nome del monaco che fu proprietario; la vibrazione del diapason si
trasmette nella cassa toracica. Questo suono sta per l'Om, quindi l'inizio.
Dunque, cominciamo. Tocca ai colori. Paolo li dispone, in ciotole di ceramica
bianca su un altro tavolo piu' alto. La densita' di ogni colore e' diversa.
Poi va a cambiarsi: porta una tuta grigio-lucida dell'Adidas, scarpe da
ginnastica bianche e come schiacciate, torna con uno straccio dello stesso
tessuto delle lenzuola intorno ai fianchi. Abbiamo almeno un centinaio
di candele dell'Ikea, si decide di usarne solo una decina per creare una
fila di luci, un riflesso e una guida per le riprese che verranno fatte
dal balcone, attraverso la grande vetrata che domina il salone e da' sul
buio della vallata Telecom, esterno/interno. Ripetiamo la scena del diapason
due volte.
Paolo prende la prima ciotola di colore, il giallo della curcuma, ci bagna
dentro la mano destra, si colora le spalle e il petto. Da dove sono, sul
divano spinto in fondo alla sala, vedo a tratti la sua immagine solo nel
riflesso della grande vetrata, quando i movimenti delle due telecamere
mi coprono la visuale. L'applicazione del colore giallo e' come l'applicazione
di un vestito, le gocce cadono a terra sporcando il pavimento di marmo.
Il colore gocciola e gorgoglia dalla ciotola alle mani al corpo. Paolo
ripete piu' volte la stessa operazione, prende il colore con la destra,
spreme la sostanza densa che scende nella ciotola, se la passa sul corpo;
cambia colore, e' il momento del marrone, adesso traccia segni piu' densi
sul torace col mallo di noce, come in un'offerta alza la ciotola verso
il capo, oppure allarga le braccia come per delimitare un territorio:
il colore come misuratore dello spazio. Intorno a lui i due uomini con
le telecamere eseguono una specie di danza, si incrociano, si inginocchiano
e rialzano, chiamano i reciproci movimenti. La parte superiore del corpo
e' dipinta. Tocca alle gambe. Ora e' il turno del rosso che e' piu' liquido
e naturalmente richiama la somiglianza col sangue, scola sulle ginocchia
fino al polpaccio. Dalla vita in su giallo e ocra, dalla vita in giu'
il colore e' rosso. Il simbolismo dei sudari e' complesso, richiama
da un versante Cabala e sephiroth, dall'altra i chakra in un intreccio
di corrispondenze. Ma davanti al rosso liquido l'immagine che piu'
forte viene in mente e' Marsia sconfitto scorticato vivo dal dio Pan.
Oppure, Paolo sembra una maschera da teatro antico o un mimo; e a noi
che abbiamo passato l'infanzia a giocare ai cowboy e agli indiani vengono
in mente i colori di guerra. I movimenti sono misurati. Con lentezza Paolo
si osserva quello che sembra sangue sulle mani. Una delle due telecamere
sta facendo il totale, l'altra copre i dettagli: riprendera' le mani colorate.
Il Golem, l'uomo di sabbia, l'uomo prima che si stenda sulla tela.
Elio si avvicina tanto all'immagine che la sua telecamera sembra toccare
il colore.
Comincia la seconda parte. Non puo' passare troppo tempo, i colori si
seccherebbero e non lascerebbero impronta, Paolo si e' rigato di rosso
anche le spalle e il colore e' colato fino al gomito. Ora viene avanti,
lascia la pozza di viola e carminio che gli bagna i piedi, avanza nella
sala, raccoglie da terra due lenzuola militari, quelle che gli serviranno,
una delle telecamere segue i piedi e le impronte rossoviola sul marmo,
Paolo e' al centro della sala con i teli in mano, li dispone a terra,
si siede a terra e poi ci si sdraia sopra. Elio e Nico convergono sul
corpo disteso con le telecamere in mano, Paolo traccia con la mano destra
una linea che divide il corpo in due parti. Prende i teli e si copre prima
una meta' del corpo, poi l'altra, fa aderire la stoffa agli arti finche'
il colore non si fissa. Nico si inginocchia davanti a lui e stringe l'inquadratura.
Paolo stringe, ritmicamente, ad altezze diverse, la tela sulle braccia
che si va colorando di ocra e di giallo. Tocca adesso alla seconda meta'
superiore del corpo, Paolo ripete sul lato sinistro, braccio sinistro,
la stessa operazione. Poi le gambe. Solleva testa e schiena, si copre
le gambe con la tela, si afferra i polpacci e poi le dita dei piedi come
un mimo che fa stretching, completando il Golem. Inquadrare i muscoli
della schiena che si flettono. Intanto sulla tela i colori si modificano,
il giallo ocra tende al senape, il sangue prende la sfumature delle
amarene. L'imprinting e' finito. Scaduto il tempo di posa. Paolo si solleva
facendo forza sulle mani, i due sudari segnati di colore sono dietro
di lui a terra, aperti, sopra c'e' la forma di un corpo umano. Paolo spiega
bene gli angoli come chi rifa' un letto per dormirci, poi va di nuovo
a prendere i colori. I teli dovranno essere cuciti insieme, a mano, per
fissare il sopra e il sotto della figura. Paolo ha preso i colori, delinea
le spalle, chino sul foglio di tela sagoma il corpo, il torace color terra,
il contorno delle braccia. Poi si alza in piedi, spruzza il rosso che
crea macchie color vino sulle gambe dell'immagine. I dettagli dei piedi.
Poi sempre col rosso Paolo segna i nei sul suo corpo, li ritrova sulla
tela, completa la corrispondenza. E' finita. Manca solo, per chiudere
il cerchio dell'inizio, il suono del diapason. Paolo si inginocchia li'
dove dovrebbe essere la testa del corpo dipinto sulla tela; suona la ciotola
d'argento, stavolta con le mani intrise di colore, non col legno, il diapason
risuona grazie al solo corpo. O cosi' vorremmo.
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