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ACCATTONE cronache romane - 04/04
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Sindoni. Narrazione di una performance

Laura Pugno

Siamo qui per assistere alla realizzazione di un sudario. Non un sudario per i morti, ma per l'uso dei vivi: a work of art. Paolo Sabbatini ha quarantotto anni. E' un pittore, col nome/cognome di Rancidoro. Non e', invece, il sindacalista dei Sincobas di Bologna dallo stesso nome, con cui di tanto in tanto si ritrova scambiato sui giornali. La ricerca di Paolo e' fare sudari. Il corpo viene coperto di colore, poi coperto dal lenzuolo su cui s'imprime. Il lenzuolo s'imbeve di colore, l'immagine si forma come in una Sindone. L'idea della Sindone, per Paolo che e' credente, e' la prima immagine di questa serie - il titolo completo del progetto/sudari e' Impressioni mentali e fisiche - ma a differenza della Sindone i suoi corpi non hanno testa. Non verra' toccata. Appartiene alla divinita', dice Paolo. Laicamente, l'identita' e' protetta? I teli su cui quest'immagine verra' conservata e difesa sono vecchie lenzuola militari, italiane, tagliate in due, comprate ai Magazzini allo Statuto, in via dello Statuto che sfocia su piazza Vittorio, forse li sgombereranno, i Magazzini?, hanno una consistenza leggera e grigia, leggermente dura, un timbro nero che li fa somigliare a enormi buste di antichissima carta da lettera. Tutto questo avviene sulla Cassia, appena fuori corso Francia, nell'ora verde del tardo pomeriggio, il 14 febbraio, san Valentino. Venendo qui, in macchina, abbiamo incontrato coppie che vanno verso casa, poi proseguiranno la serata in pizzeria. La strada dove abita Paolo da' su un ampio spazio verde che la notte si riempie di un buio intatto e di piccole costellazioni di luci. In fondo, ancora perfettamente visibile adesso nella luce che cala, c'e' una struttura che non riesco a decifrare, sembra un silos, o un ripetitore di segnali: e' una costruzione a forma di fungo o di missile, bianca e rossa. Chiedo a Paolo cosa sia, mi risponde che e' un ripetitore Telecom. E che probabilmente i suoi segnali qualche effetto su di noi ce l'hanno. Davvero, sembra guardarci, il ripetitore della Telecom Valley, presenza biancolatte rossoMarte, vegliare sulla trasformazione, attraverso la stoffa dipinta, penso, di un corpo in taken, ombra di chi e' stato rapito dagli alieni. Taken e' il titolo di una serie prodotta da Spielberg che copre cinquant'anni della storia di tre famiglie: i Keys, i Crawfords e i Clarkes. E' stata presentata al Taormina FilmFest 2003. Russell Keys, veterano della Seconda Guerra Mondiale, e' tormentato dagli incubi del suo sequestro da parte degli alieni durante la Guerra; l'incidente Roswell trasforma Owen Crawford da ambizioso capitano dell'aeronautica militare in malvagio cospiratore; l'infelice Sally Clarke viene messa incinta da un alieno. I pensieri vagano: tutto questo, probabilmente, non ha niente a che fare con stasera. Beviamo Fanta col ghiaccio e mangiamo patatine, in attesa che arrivino gli altri.
Intorno al sudario, all'opera di Paolo, sta per prendere forma la realizzazione di un'altra opera. Un piccolo documentario sul lavoro di PS. Siamo in cinque: io, che scrivo, sto facendo in questo momento la mia parte, per ultima. Sono l'archivista di questa minima impresa. Poi ci sono, Elio che girera' il video, Barbara che lavora con lui per quanto riguarda le parole, Nico che e' la seconda camera, Maurizio che comporra' le musiche. Stasera Maurizio non verra', avremo le musiche dopo. Paolo ha deciso di lavorare direttamente su se stesso. C'e' stata una preparazione. Scegliere la materia dei colori, che dev'essere naturale, argilla bianca per le parti chiare, mallo di noce per il marrone scuro, henne' per il porpora, karkade' per il rosso-viola, fiordaliso, credo, per l'azzurro. La conservazione della sostanza-colore si deve a fissativi naturali; la ricetta, naturalmente, Paolo la tiene per se', trucchi, giochi d'artificio del mestiere. Siamo stati qui qualche giorno fa, ad osservare il modificarsi della luce naturale dalle finestre, il persistere e il disporsi della luce delle lampade; siamo tornati alle cinque di pomeriggio, con due macchine. Io non sono nelle mie migliori condizioni, ho un raffreddore fortissimo. Gli altri stanno bene. Nel giro di un'ora prima della performance, abbiamo completamente trasformato la casa: solitamente piena di libri e oggetti rari, ora sembra, commentiamo, "una pubblicita' di AD". Spostati i mobili piu' ingombranti, i divani ricoperti di teli bianchi, altri teli fissati alla libreria e accartocciati a terra ad ammorbidire la giunzione tra pavimento e muro. Ora la casa di via Cassia e' spoglia, sembra un luogo disabitato, il dominio di un unico colore: il colore bianco.
Per i titoli di testa, Paolo sta inginocchiato davanti a un tavolino basso, coperto da una stoffa ugualmente bianca; ha in mano una ciotola d'argento antica, il diapason tibetano: e' uno strumento. Nico e' in piedi, la telecamera sul cavalletto, inquadra dall'alto in basso Paolo che sfiora leggermente con una bacchetta di legno, con un movimento rotatorio, il bordo della ciotola d'argento suscitando il suono. Elio sta accanto e studia la scena. La ciotola e' antica, ha inciso sopra in caratteri per noi illeggibili il nome del monaco che fu proprietario; la vibrazione del diapason si trasmette nella cassa toracica. Questo suono sta per l'Om, quindi l'inizio. Dunque, cominciamo. Tocca ai colori. Paolo li dispone, in ciotole di ceramica bianca su un altro tavolo piu' alto. La densita' di ogni colore e' diversa. Poi va a cambiarsi: porta una tuta grigio-lucida dell'Adidas, scarpe da ginnastica bianche e come schiacciate, torna con uno straccio dello stesso tessuto delle lenzuola intorno ai fianchi. Abbiamo almeno un centinaio di candele dell'Ikea, si decide di usarne solo una decina per creare una fila di luci, un riflesso e una guida per le riprese che verranno fatte dal balcone, attraverso la grande vetrata che domina il salone e da' sul buio della vallata Telecom, esterno/interno. Ripetiamo la scena del diapason due volte.
Paolo prende la prima ciotola di colore, il giallo della curcuma, ci bagna dentro la mano destra, si colora le spalle e il petto. Da dove sono, sul divano spinto in fondo alla sala, vedo a tratti la sua immagine solo nel riflesso della grande vetrata, quando i movimenti delle due telecamere mi coprono la visuale. L'applicazione del colore giallo e' come l'applicazione di un vestito, le gocce cadono a terra sporcando il pavimento di marmo. Il colore gocciola e gorgoglia dalla ciotola alle mani al corpo. Paolo ripete piu' volte la stessa operazione, prende il colore con la destra, spreme la sostanza densa che scende nella ciotola, se la passa sul corpo; cambia colore, e' il momento del marrone, adesso traccia segni piu' densi sul torace col mallo di noce, come in un'offerta alza la ciotola verso il capo, oppure allarga le braccia come per delimitare un territorio: il colore come misuratore dello spazio. Intorno a lui i due uomini con le telecamere eseguono una specie di danza, si incrociano, si inginocchiano e rialzano, chiamano i reciproci movimenti. La parte superiore del corpo e' dipinta. Tocca alle gambe. Ora e' il turno del rosso che e' piu' liquido e naturalmente richiama la somiglianza col sangue, scola sulle ginocchia fino al polpaccio. Dalla vita in su giallo e ocra, dalla vita in giu' il colore e' rosso. Il simbolismo dei sudari e' complesso, richiama da un versante Cabala e sephiroth, dall'altra i chakra in un intreccio di corrispondenze. Ma davanti al rosso liquido l'immagine che piu' forte viene in mente e' Marsia sconfitto scorticato vivo dal dio Pan. Oppure, Paolo sembra una maschera da teatro antico o un mimo; e a noi che abbiamo passato l'infanzia a giocare ai cowboy e agli indiani vengono in mente i colori di guerra. I movimenti sono misurati. Con lentezza Paolo si osserva quello che sembra sangue sulle mani. Una delle due telecamere sta facendo il totale, l'altra copre i dettagli: riprendera' le mani colorate. Il Golem, l'uomo di sabbia, l'uomo prima che si stenda sulla tela. Elio si avvicina tanto all'immagine che la sua telecamera sembra toccare il colore.
Comincia la seconda parte. Non puo' passare troppo tempo, i colori si seccherebbero e non lascerebbero impronta, Paolo si e' rigato di rosso anche le spalle e il colore e' colato fino al gomito. Ora viene avanti, lascia la pozza di viola e carminio che gli bagna i piedi, avanza nella sala, raccoglie da terra due lenzuola militari, quelle che gli serviranno, una delle telecamere segue i piedi e le impronte rossoviola sul marmo, Paolo e' al centro della sala con i teli in mano, li dispone a terra, si siede a terra e poi ci si sdraia sopra. Elio e Nico convergono sul corpo disteso con le telecamere in mano, Paolo traccia con la mano destra una linea che divide il corpo in due parti. Prende i teli e si copre prima una meta' del corpo, poi l'altra, fa aderire la stoffa agli arti finche' il colore non si fissa. Nico si inginocchia davanti a lui e stringe l'inquadratura. Paolo stringe, ritmicamente, ad altezze diverse, la tela sulle braccia che si va colorando di ocra e di giallo. Tocca adesso alla seconda meta' superiore del corpo, Paolo ripete sul lato sinistro, braccio sinistro, la stessa operazione. Poi le gambe. Solleva testa e schiena, si copre le gambe con la tela, si afferra i polpacci e poi le dita dei piedi come un mimo che fa stretching, completando il Golem. Inquadrare i muscoli della schiena che si flettono. Intanto sulla tela i colori si modificano, il giallo ocra tende al senape, il sangue prende la sfumature delle amarene. L'imprinting e' finito. Scaduto il tempo di posa. Paolo si solleva facendo forza sulle mani, i due sudari segnati di colore sono dietro di lui a terra, aperti, sopra c'e' la forma di un corpo umano. Paolo spiega bene gli angoli come chi rifa' un letto per dormirci, poi va di nuovo a prendere i colori. I teli dovranno essere cuciti insieme, a mano, per fissare il sopra e il sotto della figura. Paolo ha preso i colori, delinea le spalle, chino sul foglio di tela sagoma il corpo, il torace color terra, il contorno delle braccia. Poi si alza in piedi, spruzza il rosso che crea macchie color vino sulle gambe dell'immagine. I dettagli dei piedi. Poi sempre col rosso Paolo segna i nei sul suo corpo, li ritrova sulla tela, completa la corrispondenza. E' finita. Manca solo, per chiudere il cerchio dell'inizio, il suono del diapason. Paolo si inginocchia li' dove dovrebbe essere la testa del corpo dipinto sulla tela; suona la ciotola d'argento, stavolta con le mani intrise di colore, non col legno, il diapason risuona grazie al solo corpo. O cosi' vorremmo.

 
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