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ACCATTONE cronache romane - 04/04
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Documento: 20040227 01775 ZCZC0085/SXB R CRO S0B S41 QBXL COCAINA NELLO STOMACO, PADRE E FIGLI ARRESTATI A FIUMICINO VENEZUELANI AVEVANO INGOIATO 300 OVULI CON PIU' DI 3 KG DI DROGA (ANSA) - FIUMICINO (ROMA), 27 FEB - Una famiglia di venezuelani, composta dal padre ultrasessantenne, e da due figli, di 20 e 30 anni, e' stata arrestata dalla Guardia di Finanza dello scalo romano per traffico internazionale di sostanze stupefacenti. Secondo i primi accertamenti, dalla droga, risultata eccezionalmente pura, sarebbero stati ricavati 15 chili di cocaina 'da strada' per un valore di mercato pari a 2 milioni di euro. (ANSA). Y17-LEM 27-FEB-04 10:06 NNNN

Trafficanti. E praticanti

Rocco Carbone

Trafficare droga puo' essere un affare di famiglia, piu' spesso di quanto comunemente si possa credere. Soprattutto quando si tratta di cocaina, e il traffico avviene da una parte all'altra dell'Atlantico, dall'America centrale e meridionale alle coste dell'Europa, dove la richiesta e' sempre alta e i margini di guadagno consistenti. Soprattutto quando la preziosa sostanza e' affidata a persone, per cosi' dire, insospettabili, che hanno maggiori possibilita' di superare i controlli all'aeroporto, con il ventre imbottito di pericolosa merce.
Questa specifica tipologia del corriere della droga ha, in se', alcune contraddizioni, la prima delle quali e' rappresentata dal contrasto, appunto, tra colui che la droga la porta materialmente, e l'organizzazione che, nei paesi di provenienza, e' preposta allo smercio dello stupefacente: un'organizzazione criminale, con le sue regole e i suoi organigrammi. Il corriere e', in questa gerarchia, al gradino piu' basso, o meglio, ne e' escluso. Non ha diritti, ne' tutele, il viaggio che intraprende e' sempre e del tutto solitario, i rischi molto consistenti, primo fra tutti la possibilita' che gli ovuli che contengono la droga si aprano durante il viaggio, provocando la morte del portatore. Verrebbe da chiedersi perche' una persona comune, incensurata, molto spesso giovane, molto spesso donna, affronti questi rischi. Per soldi si dira', certo. Ma il gioco vale la candela? E chi si appresta a fare questo viaggio, quante persone ha conosciuto che lo hanno intrapreso prima di lui e che non vi hanno fatto ritorno, se non dopo anni di detenzione in terra straniera?
Parlavo all'inizio di affare di famiglia, e devo venire al punto. La stragrande maggioranza dei corrieri che sbarcano a Fiumicino con una regolarita' che non e' quasi mai allentata da controlli e operazioni di polizia, sono perlopiu' persone che vivono in contesti sociali assi poveri, le cui regole di convivenza e di relazione sono fondamentalmente arcaiche. Al centro di queste regole, saldo, inamovibile, sta il modello familiare, che decide per i suoi singoli componenti e ne indirizza le scelte. Per intenderci: una ragazza colombiana, mettiamo di un villaggio piu' o meno sperduto, che da quel villaggio non e' mai uscita e non ha mi preso non dico un aereo, ma neanche un treno, non intraprenderebbe un'impresa cosi' rischiosa come portare nel proprio corpo un carico di cocaina a distanza di migliaia di chilometri senza avere avuto l'assenso della propria famiglia, dei propri genitori. L'assenso viene dato per motivi di necessita'. Perche' mancano i soldi per vivere. Perche' con il ricavato di quel viaggio si puo' sistemare una famiglia intera, comprare una casa e sposarsi, tutti passi che a quelle latitudini sono estremamente complicati per una gran parte della popolazione.
E' per questo che non mi stupisce piu' di tanto leggere una notizia che riguarda un padre e due figli giovani con l'intestino pieno di ovuli, bloccati all'aeroporto e direttamente condotti in carcere. Ed e' per questo che non mi stupisce il fatto che gli individui che commettono questo tipo di reato non percepiscono se stessi come criminali, quanto come persone costrette per necessita' a commerciare una sostanza che loro stessi mai userebbero, nei confronti della quale e del suo uso nutrono un atteggiamento di diffidenza, se non di vera e propria ripugnanza. Perche' questo e' un altro aspetto, a suo modo paradossale, della questione. Chi cercasse in un corriere della droga i tratti, diciamo cosi', caratteriali del criminale incallito rischierebbe di essere deluso, nella maggior parte dei casi.
Lavorando da piu' di cinque anni nel carcere femminile di Rebibbia, ho avuto modo di incontrare molte donne arrestate a Fiumicino con la droga in corpo e immediatamente trasferite ("tradotte" e' il termine tecnico) nella piu' grande delle nostre patrie galere. Rappresentano, come tipologia di reato, forse la parte piu' consistente dell'intera popolazione carceraria femminile, e me le ritrovo ogni giorno di fronte, a insegnare loro l'italiano, a leggere qualche pagina di libro, ad ascoltare le loro lamentele e i loro problemi (l'udienza del processo che non arriva mai, l'avvocato d'ufficio che non si occupa di loro, i figli piccoli e lontani). Conchita, Amilbia, Pilar, Margarita, Ellen, sono i primi nomi che mi vengono in mente, ma sono solo alcuni tra i tanti. E nel corso degli anni ho potuto osservarle con una certa attenzione e frequenza, con una regolarita' che mi ha permesso di conoscerle meglio, scavalcando a poco a poco il luogo comune di partenza. Una delle cose che, ad esempio, mi colpisce sempre in loro e' il rapporto che intrattengono con le altre detenute, in particolare con le tossicodipendenti, anch'esse molto numerose. Si tratta di un rapporto di assoluta diffidenza, che sfocia nell'aperto disprezzo qualora si verifichi tra di loro una discussione. Insomma, chi porta la droga disprezza chi la compra. Perche' questo accada, e' piu' facile immaginare di quanto si pensi. E' un modo di esorcizzare il reato che si e' commesso e per il quale si sta scontando una pena. E' come dire: solo le persone deboli usano la droga. A me non accadrebbe mai. Quindi, e' un problema di chi la droga la consuma, non di chi la fornisce.
Per quanto possa apparire poco difendibile, e' questa l'argomentazione piu' diffusa. Un'argomentazione che si diffonde anche in altri ambiti, con risultati non privi di una certa comicita'. Cosi' che al sottoscritto, un giorno, in un corridoio, in una pausa tra una lezione e l'altra, mentre fumava una sigaretta, dopo un improvviso colpo di tosse (fumo troppo), e' capitato di venire apostrofato da Miriam, colombiana e corriere della droga, condannata a otto anni di carcere, nel modo seguente: "Fuma, fuma. Vedrai che ti succede. Io non ho mai fumato. Mio padre non ha mai fumato. La mia famiglia non ha mai fumato". E' un episodio tra i tanti, che potrei raccontare, e che confermano ai miei occhi, giorno dopo giorno, quella strana commistione di arcaico e contemporaneo che queste donne incarnano, il loro venire da un'origine lontana non solo nello spazio, e trovarsi proiettate in un mondo che non gli appartiene, che non conoscono affatto, a partire dalla lingua che si parla e con la quale vengono condannate a pene piu' o meno lunghe, in genere piu' elevate di quelle riservate ai nostri connazionali, che nel bene e nel male possono godere di un sostegno, anch'esso familiare, ma prossimo, parlare nella loro lingua, avere un avvocato di fiducia, ricevere le visite dei parenti. Al contrario di chi viene dall'altro continente, e di Roma fa in tempo a conoscere solo due luoghi: l'aeroporto, e il carcere. La citta' l'attraversano una volta sola, per compiere il tragitto tra questi due luoghi. Un breve viaggio su una volante, magari a sirene spiegate, intontite dalla paura e dal jet-lag, o su un furgone della polizia penitenziaria, con i vetri oscurati, dal quale e' interdetto guardare verso fuori, anche quando si passa vicino al Colosseo, o a San Pietro. Dimenticavo, sono tutte cattoliche osservanti

 
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