Una macchia di resina
Giosue' Calaciura
Ineludibile come la vecchiaia, alle 18 si alzo' la nebbia. Il bosco dei
monti della Tolfa aveva ormai offerto tutti i funghi della sua generosita'.
E loro avevano approfittato anche dell'odore di sottobosco, del sentore
di terra bagnata, della fragranza profumata della vita, della morte e
della marcescenza vegetale. L'humus della fertilita'. La domenica non
poteva regalare altro. E tornavano indietro mano nella mano, in silenzio.
Quasi commossi. Avevano dimenticato la loro prima passeggiata, la ritualita'
sin troppo puntuale, scontata, del corteggiamento. Avevano fatto presto
a rimuoverla. La vita, i figli. Ma adesso, nel bosco della Tolfa, i ricordi
dell'amore avevano trovato il loro spazio, una collocazione piu' giusta.
E splendevano sulla strada del ritorno in quella giornata di lucidature.
C'era la delicatezza del tramonto, una nostalgia cosi' sottile che aveva
sapori di umidita'. Era la nebbia. Prima come una sfocatura, leggera leggera
dal basso. Rendeva quei quattro passi di fine giornata una levitazione.
Procedevano sospesi, accarezzati alle ginocchia dalle felci. Sembrava
di camminare sul vapore. Avevano la leggerezza di un sospiro.
Tra i castagni e i faggi per tutta la mattina avevano inseguito, con pudore
e una tenerezza adolescente, la loro intimita'. Era cosi' assopita nel
tempo e dimenticata sotto maglioni e giubbotti che si cercarono a lungo,
come innamorati non svelati al primo appuntamento. Lui con premura la
sosteneva nei passaggi ripidi, nelle discese piu' difficili. Nonostante
l'eta' suggerisse percorsi meno scoscesi e aggiramenti prudenti delle
ascese piu' aspre, facevano i ragazzini e si permettevano saltelli e accelerazioni
improvvise in salita. Non che fossero vecchi. Lui 63 anni. Lei 60. Non
vecchi. L'eta' della prima preveggenza. Si comincia a sognare la morte.
Si fermavano per riprendere fiato. Si appoggiavano una all'altro e lui
approfittava per far scorrere i polpastrelli sulla mano di lei come una
carezza dissimulata. Lei, gentile, levava dai capelli di lui intralci
di foglie, grigiori di ragnatela, viticci invasivi. E a vicenda si spolveravano
con la mano dove le cortecce avevano lasciato un segno. Sulla spalla della
giacca di lui c'era una macchia di resina. Per lasciare intatto quel languore
lei evito' di promettere un lavaggio in lavatrice.
Si erano ritrovati dopo la colazione, seduti sulle rocce. Lui tagliava
il pane col suo coltello a serramanico. Regalo di un figlio. Lei confezionava
panini. Quante gite sciupate cosi'. Paura di restare soli. Sabato il solito
giro delle telefonate per organizzare la battuta a funghi. Le coppie abusate
della domenica, il coetaneo esperto di micologia che offriva il nome latino
delle specie commestibili, il bosco rinominato palmo a palmo con desinenze
di scienza. La solita tirata di bravura sul metabolismo clorofilliano,
la chiosa filosofica sul microcosmo forestale, le implicazioni sociali
del formicaio, l'ammiccamento trascendente sulla natura che nulla lascia
al caso. Non partecipava piu' alle gite della domenica. Infarto. Poi tutti
in cerchio a dividere il companatico e il doppio senso delle battutacce.
Perche' non si erano mai accorti di quanto fosse ingombrante quella compagnia?
Perche' non avevano avvertito il peso e la stupidita' di dovere sfuggire
i loro stessi sguardi quando gli altri li guardavano? Non questa domenica.
Sembro' giusto amarsi dopo mangiato. S'accarezzarono a lungo, con gesti
antichi, ormai cosi' inusuali e maldestri che nell'abbraccio lasciarono
rotolare il cesto dei funghi tra gli alberi disperdendo lungo la collina
la fatica della raccolta. Nessuno in giro. Persino i piu' giovani preferiscono
riagguantare la macchina prima di pranzo. A valle fioriscono trattorie.
Per la prima volta senza amici nel bosco. Li guardavano gli uccelli della
Tolfa. Com'era bella quella solitudine senza scienza e senza spiegazioni,
il bosco liberato dagli uomini, solo natura che non s'interrogava sulla
sua imperfezione, sul mistero degli anni, che accettava le cicatrici delle
sue rughe, lo svilimento della carne, l'avvizzimento delle fronde dei
castagni piu' malandati. Stanchezza della clorofilla. Un porcospino s'avvicino'
quando erano esausti. Immobili per non turbare quella visita inaspettata,
s'aggrappavano eccitati uno all'altra. Scappo' via alla risata improvvisa
di lei. A entrambi sembro' che un rapace li spiasse dai rami. Forse un'aquila.
Sentirono un agitarsi di ali, un gracchiare di sfida. Poi ancora il bosco.
La nebbia aveva preso possesso dei monti della Tolfa. Si era insediata
con la strategia dell'invisibilita'. Un albero dopo l'altro. Improvviso
l'attacco in forze. Ondate violente e ventose di bianco, fredde di latte.
Non avevano dato peso alla nebbia. Con metodo la coltre aveva lasciato
spazi aperti, e loro s'addentravano senza discernimento nelle gole dove
gli occhi vedevano ancora. Seguivano il percorso interno di quella tenerezza
ritrovata, il filo riannodato con la giovinezza. C'era ancora un margine,
una prospettiva. C'era ancora tempo. Lenti lenti lo misuravano a passi.
Andavano ora di qua, poi di la'. Senza fretta e senza rotta nel profondo
del bosco. Improvvisamente faccia a faccia col nulla. Era cosi' impenetrabile
che istintivamente allungarono le braccia in quella invisibilita' umida
e subito le ritrassero. Si resero conto di essere separati, di avere perso
la mano dell'altro, di essere soli. Con affanno cominciarono a cercarsi,
come i ciechi, a chiamarsi per nome. Solo il nome, non c'erano altre parole.
Non era il terrore di perdersi nel bosco. Li agghiacciava la possibilita'
di non ritrovarsi. Ciascuno inghiottito da una strada invisibile all'altro.
Come se non si fossero mai conosciuti, incontrati, amati. A tu per tu
solo con se stessi. L'ombra di un braccio. A tentoni si sfiorarono le
mani, si ritrovarono, s'intrecciarono ancora piu' saldamente, a lasciare
un livido.
Con la nebbia, il buio. Sentirono il rumore del bosco che si svegliava.
Grugniti. Forse un cinghiale. Ombre. Piu' forte la stretta delle loro
mani. Sentivano il volo silenzioso dei predatori notturni che sceglievano
la postazione di caccia, avvertivano lo schierarsi di un esercito selvaggio
e informe, pronto a uccidere e a morire. Era tutto uno strisciare nel
folto, un crepitare di foglie, un richiamo e una risposta a tracciare
le coordinate dei due dispersi, a preparare l'agguato. Nel bosco della
Tolfa, si dice, sopravvivono ancora i lupi. E a loro sembrava di cogliere
il guaito affamato, folate di fiato caldo, l'ansimare di bestia. E non
era piu' il lupo ma l'orco dell'infanzia, il mostro acquattato nella nebbia
e nel buio, la natura mutante dei bambini che li riaccoglieva dopo tanto
tempo, una vita. Verso il basso. Ricordavano i consigli dell'amico saccente:
se vi perdete, scendete giu', a valle. Insopportabile, povero, trombone,
ma le loro gambe cercavano il pendio. Lo trovarono. Lei cadde, rotolo'
nonostante lui cercasse di trattenerla con la mano. L'aiuto' ad alzarsi.
Altre volte era scivolata, aveva sbattuto. Intatta. In altre domeniche.
Altri anni. Il femore, il bacino. Dolore. Il cellulare. Non si domandarono
nemmeno perche' non avessero chiamato subito. Vergogna. La provano solo
i bambini. La forestale, il commissariato. Dicono di stare fermi. Vengono.
Si sono seduti sulle rocce. Hanno separato le loro mani. Lui domando'
come si sentisse. Meglio. Lasciarono che la nebbia consumasse la loro
domenica. Quando videro le ombre degli uomini e sentirono i loro nomi
scanditi nella nebbia erano le 21. Si stupirono di quanto fosse vicino
il limitare del bosco e quanto a portata di mano la radura aperta e senza
nebbia. Solo un angolo resisteva impenetrabile alla brezza della sera.
Dove per tutto il pomeriggio avevano giocato a perdersi e ritrovarsi.
Ad amarsi. E il bosco con loro.
Un caffe' caldo e una coperta. Le guardie forestali li guardavano seduti
nella camionetta e strizzavano un occhio ammiccando tra loro. Non e' un'avventura
da nonni. E poi, nel bosco sino a quest'ora. Hanno perso pure i funghi.
E ridevano. Loro, dentro, bevevano il caffe' in silenzio. Si sentivano
osservati. Evitarono di guardarsi.
|