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ACCATTONE cronache romane - 03/04
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Destra e sinistra. Seminario
Francesco Pacifico

Lenti a contatto.
Di solito mi metto le lenti a contatto solamente quando devo andare a giocare a pallone: altrimenti preferisco i miei occhiali alla moda, cosi' sottili che appena devo guardare in alto non vedo piu' niente, tipo al cinema.
Un venerdi' pomeriggio pero', di punto in bianco, entro in bagno e mi metto le lenti. Nessuno ha voluto accompagnarmi al Foro 753, il centro sociale fascista di via Capo d'Africa, dietro al Colosseo. Nel caso remoto in cui la situazione degenerasse, risparmierei un paio di occhiali. Mica male come pregiudizio.
Appena arrivo vedo un turista sulla sessantina che osserva con curiosita' l'enorme manifesto di stile avanguardista affisso fra le due colonne dell'ex entrata: raffigura uno scudo nero stilizzato con dentro un frammento di colonna e la scritta "Foro 753"; il 753 sta per l'anno (a.C.) della fondazione di Roma; sotto lo scudo, l'iscrizione 'Nihil Difficile Volenti'. Il signore staziona li' davanti per un po', poi si allontana.
L'entrata adesso e' una porta di metallo sulla sinistra. Mi accoglie uno dei responsabili, Marco, ci faccio due chiacchiere.

Problemi di comunicazione.
Due giorni prima avevo mandato una mail dicendo che desideravo fargli una visita per scrivere un articolo sulla loro esperienza di centro sociale: quali attivita' si organizzavano, che aria tirava. Non mi hanno risposto, forse perche' in questo periodo hanno molto da fare con la mostra sulle foibe e, soprattutto, con i lavori di ristrutturazione di questo prodigio di palazzo a quattro piani: bello, ma fatiscente.
Marco, uno dei responsabili del centro, mi accoglie con molta diffidenza. Purtroppo dice che non puo' aspettarsi buona fede da parte dei giornalisti. Quando lo scorso settembre lui e i suoi camerati hanno occupato la ex casa dei lavoratori, disabitata da decenni, la stampa di sinistra si e' occupata della cosa mettendo in risalto solamente il dato fascisti = violenza. Dice Marco che a quel punto hanno capito che bisognava tenere un certo atteggiamento con i giornalisti. Se voglio scrivere qualcosa su di loro devo chiedere un'intervista, scritta o dal vivo ma preparata, in modo che la possano registrare per, nel caso, far scattare la querela. Nella mail gli ho scritto che non ho niente in contrario con i complessi di persecuzione.
Gli spiego che quello che mi interessa e' raccontare cosa fanno qua dentro, fra le camere scalcinate del palazzo, dove tira un'arietta pungente e l'umidita' conferisce alla muffa un odore gradevole. Gli spiego che non mi interessa fare un articolo su cosa pensano della droga, delle foibe, della sinistra non patriota, delle loro attivita' per la riqualificazione del Celio.
Gli chiedo di fare un giro per il palazzo cosi' mi spiega cosa si fa qui e cosa si fa qua.
Ora, c'e' un problema: mentre parliamo Marco tiene un grosso pezzo di legno chiaro in mano e traffica con un cacciavite per estrarre o infilare un chiodo all'estremita'. Io, che ho tanti pregiudizi, vedo quel pezzo di legno come una spranga e sono felice di aver messo le lenti a contatto.
Ma la verita' e' che Marco ha l'aspetto di uno a cui lascerei le chiavi di casa. Come me, sta iniziando a perdere i capelli e porta gli occhiali; ha i vestiti tutti impolverati per i lavori in corso e parla appropriatamente. Quello che mi ha sempre impedito di diventare amico dei fascisti con cui sono cresciuto a scuola e nei boyscout e' una certa rigidita' nel parlare che li porta a non abbandonarsi mai. E Marco e' esattamente cosi', per cui, a furia di ispirarmi stima e rispetto istintivi, finisce con lo starmi antipatico perche' non vuole capire che non mi importa niente della sua intervista scritta o registrata, che voglio solo che mi racconti la storia del luogo e mi dica che attivita' fanno, dove dormono, come si divertono. Gli dico: e' solo che non avevo idea che ci fossero centri sociali fascisti. Voglio vedere cosa fate!
Alla fine, tornato una seconda volta dopo un'ora dalla prima inutile visita, convinco Marco a farmi fare un giro. Nel palazzo ci sono cinque sei ragazzi che lavorano: due rifanno il pavimento della sala conferenza al piano di sopra con un parquet a liste grosse, chiaro, di rappresentanza, che emerge incompleto dal grigio-calcinaccio di una stanza larga e stretta ancora tutta da inventare. Hanno gia' una fitta lista di presentazioni di libri e conferenze con scrittori e politici. Beneficiano del supporto di Azione Giovani e di alcuni parlamentari di An. I ragazzi mi salutano con simpatia, ci resterei tutto il giorno a farmi raccontare.
Mi domando se e' vero che se non avessimo perso la guerra ci sarebbe stato piu' dialogo fra le parti. Non puo' essere vero, mi rispondo, pero' mi piacerebbe sentirmi libero di passare il pomeriggio li' dentro a farmi dire qual e' la loro morale sessuale e dove si tagliano i capelli le loro donne.
Fuori dalla sala delle riunioni del primo piano c'e' un largo corridoio che da' su cio' che credo, da lontano, sia un chiostro. Marco neanche mi fa avvicinare per guardare di sotto. Quindi adesso che scrivo cerco di immaginare me che mi avvicino a quelle tre finestre senza finestre, alte e strette, da cui entra il freddo di notte. E mi immagino di rimanere a dormire li' (le lenti a contatto che si raggrinziscono contro le mie pupille, gli occhi non mi lacrimano e il freddo non mi fa addormentare) e condivido il loro gusto di passare la notte in un palazzo del primo novecento e di combattere contro le plutocrazie d'occidente.
Scendo le scale deluso, cercando di non inciampare sui gradini sbrecciati. Non c'e' il corrimano, al muro non mi posso appoggiare perche' non c'e' intonaco. Le stanze in cui non sono entrato, e che muoio dalla voglia di vedere, sono zeppe di volantini, bandiere dell'Italia che coprono tavoli come tovaglie, pacchi di manifesti da appendere di notte, e per terra tavole e liste di legno, calcinacci e… tutta una serie di cose che appena esco non ricordo piu' perche' non ho avuto tempo a sufficienza per guardare ne' il coraggio di aprire il mio quaderno per prendere appunti: l'ho tenuto in mano e mi sono sentito in soggezione.
Ok, non vi fate le canne, ok, avete organizzato un cineforum gratuito che si chiama "cineFORO" dove date Kill Bill volume 1, ok, avete un sito stiloso, forse troppo marmoreo, in cui spiegate la storia del palazzo e che vi riconoscete nell'identita' nazionale, nella giustizia sociale e nella visione comunitaria e spirituale della vita - eppure io non posso farmi un giro del palazzo mentre sbavo dalla voglia di visitare tutti e quattro i piani e parlare con tutti quanti.
Quando me ne vado dopo la striminzita visita guidata, Marco mi dice di spedire le domande sulle attivita' e le sensazioni al loro indirizzo di posta elettronica, perche' cosi' su due piedi non si puo' fare. In effetti non mi riesce a stare antipatico, pero' mentre esco, che mi aspetta una traversata di Roma in autobus con le polveri sottili che si spostano per i viali in blocchi del peso specifico del marmo, penso "E che cazzo, Marco."

Geopolitica e urbanistica for dummies.
1906: nasce la Casa del popolo per riunire in una sola sede le organizzazioni operaie romane.
1925: il prefetto scioglie la Casa del popolo con un regio decreto autografato da Vittorio Emanuele III e da Mussolini. Viene affidato nel '29 all'Opera Nazionale Dopolavoro. L'Opera lo trasforma in un teatro.
1943 (dal sito www.753.it - corsivo mio): "…Alla fine del 1943 la Presidenza dell'OND trasferisce i sui uffici al nord del Paese..." La trovo un'annotazione di gran classe, questo dettaglio che fa pensare a un trasloco invece che a una guerra civile.
Fra il 1943 e il 1959: il palazzo ospita famiglie di sfollati della seconda guerra mondiale e sedi di partiti.
Poi, non ci si fa piu' niente fino al settembre 2003.
Guardando la facciata del palazzo scambio stupidamente i numerosi buchi nel muro per segni di proiettili. Marco mi ferma: no, dice, sono le iniezioni di cemento che hanno impedito al palazzo di crollare. Risalgono al '69. Iniezioni di cemento, iniezioni di fiducia - il palazzo tuttavia non verra' piu' usato.
E infine la notizia dell'ultim'ora: in questa ex casa del popolo, ex teatro del dopolavoro, ex baracca di lusso, la sinistra ci vuole fare il museo della Shoah. Storia interessante, vero? E credete che avrei potuto parlarne con Marco? Altro che lenti a contatto.

 
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