Lenti a contatto.
Di solito mi metto le lenti a contatto solamente quando devo andare a
giocare a pallone: altrimenti preferisco i miei occhiali alla moda, cosi'
sottili che appena devo guardare in alto non vedo piu' niente, tipo al
cinema.
Un venerdi' pomeriggio pero', di punto in bianco, entro in bagno e mi
metto le lenti. Nessuno ha voluto accompagnarmi al Foro 753, il centro
sociale fascista di via Capo d'Africa, dietro al Colosseo. Nel caso remoto
in cui la situazione degenerasse, risparmierei un paio di occhiali. Mica
male come pregiudizio.
Appena arrivo vedo un turista sulla sessantina che osserva con curiosita'
l'enorme manifesto di stile avanguardista affisso fra le due colonne dell'ex
entrata: raffigura uno scudo nero stilizzato con dentro un frammento di
colonna e la scritta "Foro 753"; il 753 sta per l'anno (a.C.)
della fondazione di Roma; sotto lo scudo, l'iscrizione 'Nihil Difficile
Volenti'. Il signore staziona li' davanti per un po', poi si allontana.
L'entrata adesso e' una porta di metallo sulla sinistra. Mi accoglie uno
dei responsabili, Marco, ci faccio due chiacchiere.
Problemi di comunicazione.
Due giorni prima avevo mandato una mail dicendo che desideravo fargli
una visita per scrivere un articolo sulla loro esperienza di centro sociale:
quali attivita' si organizzavano, che aria tirava. Non mi hanno risposto,
forse perche' in questo periodo hanno molto da fare con la mostra sulle
foibe e, soprattutto, con i lavori di ristrutturazione di questo prodigio
di palazzo a quattro piani: bello, ma fatiscente.
Marco, uno dei responsabili del centro, mi accoglie con molta diffidenza.
Purtroppo dice che non puo' aspettarsi buona fede da parte dei giornalisti.
Quando lo scorso settembre lui e i suoi camerati hanno occupato la ex
casa dei lavoratori, disabitata da decenni, la stampa di sinistra si e'
occupata della cosa mettendo in risalto solamente il dato fascisti = violenza.
Dice Marco che a quel punto hanno capito che bisognava tenere un certo
atteggiamento con i giornalisti. Se voglio scrivere qualcosa su di loro
devo chiedere un'intervista, scritta o dal vivo ma preparata, in modo
che la possano registrare per, nel caso, far scattare la querela. Nella
mail gli ho scritto che non ho niente in contrario con i complessi di
persecuzione.
Gli spiego che quello che mi interessa e' raccontare cosa fanno qua dentro,
fra le camere scalcinate del palazzo, dove tira un'arietta pungente e
l'umidita' conferisce alla muffa un odore gradevole. Gli spiego che non
mi interessa fare un articolo su cosa pensano della droga, delle foibe,
della sinistra non patriota, delle loro attivita' per la riqualificazione
del Celio.
Gli chiedo di fare un giro per il palazzo cosi' mi spiega cosa si fa qui
e cosa si fa qua.
Ora, c'e' un problema: mentre parliamo Marco tiene un grosso pezzo di
legno chiaro in mano e traffica con un cacciavite per estrarre o infilare
un chiodo all'estremita'. Io, che ho tanti pregiudizi, vedo quel pezzo
di legno come una spranga e sono felice di aver messo le lenti a contatto.
Ma la verita' e' che Marco ha l'aspetto di uno a cui lascerei le chiavi
di casa. Come me, sta iniziando a perdere i capelli e porta gli occhiali;
ha i vestiti tutti impolverati per i lavori in corso e parla appropriatamente.
Quello che mi ha sempre impedito di diventare amico dei fascisti con cui
sono cresciuto a scuola e nei boyscout e' una certa rigidita' nel parlare
che li porta a non abbandonarsi mai. E Marco e' esattamente cosi', per
cui, a furia di ispirarmi stima e rispetto istintivi, finisce con lo starmi
antipatico perche' non vuole capire che non mi importa niente della sua
intervista scritta o registrata, che voglio solo che mi racconti la storia
del luogo e mi dica che attivita' fanno, dove dormono, come si divertono.
Gli dico: e' solo che non avevo idea che ci fossero centri sociali fascisti.
Voglio vedere cosa fate!
Alla fine, tornato una seconda volta dopo un'ora dalla prima inutile visita,
convinco Marco a farmi fare un giro. Nel palazzo ci sono cinque sei ragazzi
che lavorano: due rifanno il pavimento della sala conferenza al piano
di sopra con un parquet a liste grosse, chiaro, di rappresentanza, che
emerge incompleto dal grigio-calcinaccio di una stanza larga e stretta
ancora tutta da inventare. Hanno gia' una fitta lista di presentazioni
di libri e conferenze con scrittori e politici. Beneficiano del supporto
di Azione Giovani e di alcuni parlamentari di An. I ragazzi mi salutano
con simpatia, ci resterei tutto il giorno a farmi raccontare.
Mi domando se e' vero che se non avessimo perso la guerra ci sarebbe stato
piu' dialogo fra le parti. Non puo' essere vero, mi rispondo, pero' mi
piacerebbe sentirmi libero di passare il pomeriggio li' dentro a farmi
dire qual e' la loro morale sessuale e dove si tagliano i capelli le loro
donne.
Fuori dalla sala delle riunioni del primo piano c'e' un largo corridoio
che da' su cio' che credo, da lontano, sia un chiostro. Marco neanche
mi fa avvicinare per guardare di sotto. Quindi adesso che scrivo cerco
di immaginare me che mi avvicino a quelle tre finestre senza finestre,
alte e strette, da cui entra il freddo di notte. E mi immagino di rimanere
a dormire li' (le lenti a contatto che si raggrinziscono contro le mie
pupille, gli occhi non mi lacrimano e il freddo non mi fa addormentare)
e condivido il loro gusto di passare la notte in un palazzo del primo
novecento e di combattere contro le plutocrazie d'occidente.
Scendo le scale deluso, cercando di non inciampare sui gradini sbrecciati.
Non c'e' il corrimano, al muro non mi posso appoggiare perche' non c'e'
intonaco. Le stanze in cui non sono entrato, e che muoio dalla voglia
di vedere, sono zeppe di volantini, bandiere dell'Italia che coprono tavoli
come tovaglie, pacchi di manifesti da appendere di notte, e per terra
tavole e liste di legno, calcinacci e
tutta una serie di cose che
appena esco non ricordo piu' perche' non ho avuto tempo a sufficienza
per guardare ne' il coraggio di aprire il mio quaderno per prendere appunti:
l'ho tenuto in mano e mi sono sentito in soggezione.
Ok, non vi fate le canne, ok, avete organizzato un cineforum gratuito
che si chiama "cineFORO" dove date Kill Bill volume 1, ok, avete
un sito stiloso, forse troppo marmoreo, in cui spiegate la storia del
palazzo e che vi riconoscete nell'identita' nazionale, nella giustizia
sociale e nella visione comunitaria e spirituale della vita - eppure
io non posso farmi un giro del palazzo mentre sbavo dalla voglia di visitare
tutti e quattro i piani e parlare con tutti quanti.
Quando me ne vado dopo la striminzita visita guidata, Marco mi dice di
spedire le domande sulle attivita' e le sensazioni al loro indirizzo di
posta elettronica, perche' cosi' su due piedi non si puo' fare. In effetti
non mi riesce a stare antipatico, pero' mentre esco, che mi aspetta una
traversata di Roma in autobus con le polveri sottili che si spostano per
i viali in blocchi del peso specifico del marmo, penso "E che cazzo,
Marco."
Geopolitica e urbanistica for dummies.
1906: nasce la Casa del popolo per riunire in una sola sede le organizzazioni
operaie romane.
1925: il prefetto scioglie la Casa del popolo con un regio decreto autografato
da Vittorio Emanuele III e da Mussolini. Viene affidato nel '29 all'Opera
Nazionale Dopolavoro. L'Opera lo trasforma in un teatro.
1943 (dal sito www.753.it - corsivo mio): "
Alla fine del 1943
la Presidenza dell'OND trasferisce i sui uffici al nord del Paese..."
La trovo un'annotazione di gran classe, questo dettaglio che fa pensare
a un trasloco invece che a una guerra civile.
Fra il 1943 e il 1959: il palazzo ospita famiglie di sfollati della seconda
guerra mondiale e sedi di partiti.
Poi, non ci si fa piu' niente fino al settembre 2003.
Guardando la facciata del palazzo scambio stupidamente i numerosi buchi
nel muro per segni di proiettili. Marco mi ferma: no, dice, sono le iniezioni
di cemento che hanno impedito al palazzo di crollare. Risalgono al '69.
Iniezioni di cemento, iniezioni di fiducia - il palazzo tuttavia non verra'
piu' usato.
E infine la notizia dell'ultim'ora: in questa ex casa del popolo, ex teatro
del dopolavoro, ex baracca di lusso, la sinistra ci vuole fare il museo
della Shoah. Storia interessante, vero? E credete che avrei potuto parlarne
con Marco? Altro che lenti a contatto.