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ACCATTONE cronache romane - 03/04
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Neve a Roma
Francesco Màndica

E' l'anno 2079 e bisogna pur far qualcosa per star su. Bisogna darsi un tono comunque. Ecco perche' il compagno Dmitrij Rossievic si e' convinto a comprare quel numero di telefono usato. Perche' pensa che avere un numero di una vecchia compagnia telefonica andata fallita costituisca un qualcosa di ricercato. Di blase'. Come l'idea raffinata di offrire il te' agli amici. I piu' si lamentano sottovoce disgustati dall'idea di dover bere da lunghi bicchieri di ghisa provvisti del filtro opportuno per non far passare l'altro liquido oleoso. Si' perche' il problema e' che fa freddo. Ma molto freddo. Un freddo che costringe a mettere l'antigelo agli elettrodomestici. E' arrivata la glaciazione. Da quasi trent'anni. E uno come lui all'idea del vivere ibernato non si e' ancora abituato. E' un abitudinario, un reazionario, che di questi tempi gli tocca stare sempre attento a non dire e non fare quelle cose li', un po' antiquate, un po' troppo capitaliste. Il compagno Dmitrij Rossievic non e' insomma un tipo nella norma.

Guardatelo andare in giro il collega Rossievic, con quei suoi vestiti ricercati, quel moplen fuso sui risvolti della giacche e la cravatta di pelo. Ad osservarlo la mattina mentre esce per andare a prendere la tangenziale EST, sciando tutto impettito lungo via dei Campani, verrebbe da prenderlo a schiaffi. Non solo non sopporta il freddo, ma non accetta neanche i sani principi rivoluzionari. Non porta la divisa, non si e' voluto far inserire il chip localizzante, si ostina a portare gli occhiali. Sembra uno dei quadri alti del partito, di quelli con la pelliccia e i parrucchini di polietilene espanso, tutti truccati come donne occidentali. Ma Rossievic al partito non avrebbe neanche aderito fosse stato per lui. Lui e' troppo vecchio per credere a questa rivoluzione, troppo anziano per non ricordare i tempi dei partiti e degli schieramenti, della destra e della sinistra. I tempi in cui non nevicava da ottobre fino a maggio.

A giudicare dalla sua eta' deve essere stato un bambino quando a Roma ha iniziato a fare piu' freddo, pochi mesi prima della ondata glaciale. Deve aver vissuto la sua infanzia con il privilegio delle stagioni, infarcito di cultura borghese sul risveglio primaverile, e tutte quelle stronzate sui mesi freddi e i mesi caldi. Ora che di stagione ce ne e' una e che di partito ce ne e' uno si sta meglio. Meno complicazioni. Certo che un po' di invidia per chi sa cos'e' l'estate e' naturale. Il compagno Dmitrij conosce il privilegio del bagno a Fregene senza la muta e senza trivelle da ghiaccio, le giornate sulla spiaggia, il vento di scirocco che non ti fa dormire la notte. Certo era piccolo, ma deve per forza ricordare. Quando ha iniziato a nevicare a Roma, sara' stato il 2004 o 2005, l'hanno presa tutti come una sciocchezza bizzarra. Saranno stati pochi fiocchi, una mezz'ora pacifica e curiosa, in cui la gente si sara' fermata un po' aprendo l'ombrello e sillabando a bassa voce una certa contentezza. Nessuno pensava che sarebbe arrivata a mucchi la neve, lungo le strade, nel Colosseo, tra le intercapedini e nelle fessure, sulle cabine telefoniche. Chi avrebbe mai pensato - e figurarsi il compagno Rossievic che era un bambino - che le macchine, il simbolo di un'epoca intera, sarebbero finite tutte allo sfascio? Riassemblate per teleferiche e funivie e monorotaie. La tangenziale EST, quella che il Soviet vuole scritta sempre in maiuscolo, doveva essere sempre trafficata. Nelle ore di punta soprattutto. Ora e' una ovovia e sulla superficie del vecchio manto stradale scorrono cavi d'acciaio, funi e ingranaggi.

E' dentro quei gusci di plexiglass e legno che incontro Rossievic, che mi guarda solitamente con fare interlocutorio aggrappato al corrimano della cabina. Mi piace stuzzicarlo, ci siamo conosciuti al lavoro, ed io nonostante quello che dico, provo un certo rispetto per lui. Penso alla sua disillusione mentre guardo sfilare di fronte a me le vestigia di quella che fu Roma. Porta Maggiore ora e' un deposito di munizioni: lungo l'acquedotto sono state piazzate cariche esplosive cosicche' alla prima minaccia kamikaze salta tutta la cinta muraria e ci protegge con il suo cerchio di fuoco. Il fuoco e' l'unica risorsa ancora spendibile contro questo freddo. La salita che porta a San Giovanni e' stata chiusa. Per creare il tunnel che porta all'ospedale, con tutti questi morti assiderati ce n'era bisogno. La sede del governo provvisorio (provvisorio poi non si sa che cosa visto che si chiama cosi' dal 2006 ) e' alla rocca Savella, distante dal centro per evidenti motivi di rappresentanza. Le rovine, le macerie di questa citta' si sono tutte addensate nel centro, gli obiettivi del nemico stelle e strisce erano chiarissimi. Ci hanno fatto un bel favore detronizzando la citta' del Vaticano. Ma di questo il nostro Rossievic non vuole parlare, quando tento, iniziando una conversazione riguardo i bei tempi che furono (e che io per limiti biologici non conosco), lui inizia a cambiar e discorso, si lamenta del fatto che non spalano neve abbastanza e che al cimitero non ci sia il tergicristalli per le lapidi, che ogni volta gli tocca cercare il nonno rovistando tra i feretri e passando il guanto sul marmo per sbrinare i sepolcri.

Fissa il vetro della cabina e di solito conclude dicendo: "si vede che doveva andare cosi'". Mi fa pena a volte. Lui che ne sa piu' di noi, lui Dmitrij, non sa cosa fare con questo freddo. Si lascia andare con quei suoi vizi antichi, beve il te', non parla con nessuno se non del cimitero, pontifica del piu' e del meno attaccato all'esile e fredda certezza del corrimano con una indifferenza nei confronti del mondo che a volte spaventa. Lo carezza quasi il corrimano mentre parla, sembra attratto dal quel metallo cromato. Tutte le mattine va al lavoro con quei pensieri in testa, mentre sotto di lui scorre la citta'. Arriva a Testaccio, il suo ufficio e' nel frigorifero del vecchio mattatoio, lo so perche' Aleksiej e' il suo impiegato, lo ha nominato impiegato del mese anche se nessuno sa che differenza passa tra aprile e novembre, visto che nevica sempre. Persiste nel farmi pena, lui che non crede al nostro ideale, lui che continua a vivere e lavorare nonostante il mondo gli sia cambiato di fronte agli occhi. Sono convinto che Dmitrij Rossievic non ha provato il minimo orgoglio quando ha dovuto slavizzare il suo nome. L'avra' fatto come un dovere, una marca da bollo da pagare. Per lui deve essere stato diverso, prima e' arrivato il freddo, poi la rivoluzione. Mica sono cose facili da mandare giu'. Roma per lui continuava ad essere quella dei caffe' all'aperto e del giornale piegato sul tavolino, del cappuccino e cornetto, del sole della domenica. Se l'avessero detto a me non ci avrei creduto a tutto questo. Che da quei piccoli fiocchi di neve sarebbe scaturito un inverno totale, che le proteste dei tranvieri sarebbero finite in una collettivizzazione dei mezzi di trasporto, che da quel gesto arrogante dei famosi scioperi selvaggi sarebbe nata la patria nuova, la patria italiana. A volte dai piccoli dettagli riesci a capire il mondo. Ecco perche' in qualche modo quell'uomo solo ed elegante, che parla di un passato abbastanza lontano da sembrarmi epico, mi cattura. Prima o poi accettero' il suo invito, magari mi forzero' acconsentendo a bere un te'. Ho l'impressione che si senta sollevato di fronte ad una tazza fumante.


 
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