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ACCATTONE cronache romane - 03/04
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Merendine
Eleonora Danco

Si sciolgono presto nella bocca, senza tempo, fanno piu' dei sonniferi. Sulla sedia a sdraio nella camera 8 al letto 12, c'e' mia madre con l'ossigeno: "E' la figlia? Mi raccomando la mascherina non la deve togliere MAI." Dottore, io ho fatto il medico da piccola, li ho operati tutti i miei fratelli legati alla scrivania, senza anestesia, gli ho estratto pure i denti.
Sul Cotral, che mi porta dritta in bocca all'ospedale. E' il mio turno per fare la notte.
Dal finestrino le insegne pubblicitarie bruciano come lo shampoo negli occhi al cielo; le antenne satellitari dalle case a schiera, brutte, stronze.
Non sento niente, ma proprio non me ne frega un cazzo di nessuno.
Taglio dal Pronto Soccorso del Santa Maria Goretti di Latina, bagnato, lercio di persone: "so' casckata dalle scale; m'ha morsu nu cane; me se so' rotte le acque", in quella specie di romano imbastardito dal ciociaro, innestato al napoletano di Littoria. (sindaco ex Camerata)
Mi aggrappo alle macchinette con le merendine. Il bar lo hanno tolto, i pazienti ci si spaccavano la bile.
Loretta ama Pino; fregna; scemo chi legge sui muri; in pigiama un vecchio mi chiede una sigaretta fuori ad Igiene Mentale; scatoloni ingialliti nei sottoscala dei reparti.
E' orario di visita, la gente preme fuori dai cancelli per entrare, tutti intorno ai letti dei parenti.
Sanguina la piaga di decubito sul fondo della schiena: mangia a morsi tutto.
L'infermiera parla chiaro: "toccava al turno della mattina, mo e' pomeriggio, io non lo faccio!"
MERDA, devo alzare la voce al caposala: allora la disinfettano mia Mamma! Devo tenerle una gamba, manca il personale, svengo dentro, mi volto non voglio guardare.
La notte plana in corridoio, il neon smette di picchiare. In punta di piedi, avanti e indietro, cammino, sfilano le stanze, le sedie, gli specchi, i lavandini, non tocco niente. All'infettivo neppure le mani mi lavo.
Non c'era posto negli altri reparti, mia madre si deve adattare.
Un letto vuoto, lo guardo, mi sembra che parla, ci sono i fantasmi dei pazienti, li vedo alzarsi, piegarsi,destarsi.
Scappo fuori, prendo aria.
Vasi strozzati dalle cicche, la nebbia rende tutto irreale, le persone sputano dal nulla, per terra senza vergogna nel via vai del giorno all'ospedale, Duce, Duce appeso al giornalaio del reparto.

Cerco una relazione nella mente, Salva Con Nome, le parole nella testa.
La gente e' matta, la gente distrugge le cose, taglia le orecchie, le dita alle statue, lattine, cicche, fonzi sbriciolati, piedate dei tifosi di calcio al ritorno dal Salernitano: non riesci a sederti sul treno, fuori dalla Sanita', che mi riporta in un altro posto, luoghi, il 310, la metro.
Volevo sdraiarmi nel letto, perdermi nel sonno con mia madre tra tutti quei fili di flebo, ma e' stata dimessa.
Nel suo letto ora c'e' Silvio B. per un ritocco allo zigomo destro. Anche lui si adatta all'infettivo di Latina, non c'e' chirurgia estetica, cosa aspettano ad aprirla?! Serve a tutti, pure a me, privatamente costa troppo.
L'infermiere, a casa, per togliere con le mani il tappo di feci nel sedere dei disabili in vita; scienza; progresso; sapere; le A.S.L.; l'accompagno; il reddito; la sedia a rotelle. Mi devo informare, telefonare. Laura, la signora che pulisce casa me lo dice: "Informate bene, una che m'abbita sotto je passano tutto, je fanno pure la spesa, ma e' 'na mezza 'mbrogliona, ce marcia, sta' piegata le ore a fa' la gramigna e a cicoria al campo vicino a Rebibbia"
Una montagna di carta, cinquantamila pratiche e intanto si muore in attesa dell'assegno di gravita' permanente, una montagna da scalare per i 6 impiegati dell'inps. Processi, prove.
Qualcuno si trucca il motore, s'azzoppa apposta un arto, una gamba. A cosa si arriva. E' la solita storia. Le persone per bene, quasi sempre, se la pigliano al culo, muoiono sole.
Ma il signore vede tutto, gli ultimi saranno i primi, le cliniche private con Forza Italia al Quirinale, tutti i disabili del Lazio una vita migliore.
Speranza e fiducia.
Il bene vince sul male.

 
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